Ricordi, personaggi e leggende di un ciclismo che non c’è più. Parlare di sport con pacatezza e competenza è possibile. È successo nella serata del Premio Chiara “Un giro in bici”, ospite Ganni Mura intervistato dal giornalista Sky varesino Francesco Pierantozzi (nella foto F. Santini) e da Luca Crovi con gli interventi musicali del cantautore e compositore Claudio Sanfilippo.
“Nelle tre settimane del Tour de France anche chi è di diversa idea politica compra La Repubblica  per leggere i pezzi di Gianni Mura che in qualche modo può essere considerato l’erede dell’indimenticabile Gianni Brera”. Così Pierantozzi ha introdotto la chiacchierata con il giornalista milanese che ha subito precisato di non volere e potere essere erede di Brera “semplicemente perché Brera era unico”.
E poi via a ruota libera privilegiando il Tour al Giro, “ma solo perché dovendomi occupare di calcio posso seguire una corsa a tappe solo al termine del campionato”, ma soprattutto le storie che ci sono anche oggi ma non si raccontano più – ha proseguito Mura – le leggende di gente come Ganna, Binda, Coppi, Bartali,  sono nate prima dell’avvento della televisione quando il racconto era indispensabile. Oggi la televisione ci fa vedere tutto e subito seduti comodamente nelle nostre case. Chi vede di meno sono diventati i giornalisti sul posto”.
La differenza la farebbero le storie e invece si conosce tutto dei soliti cinque o sei e nulla di più”.
Senza storie rimane la cronaca di un ciclismo in cui ci stiamo dimenticando le fughe.
“La fuga è la componente più affascinante del ciclismo – ha continuato Mura – Anche solo per il fatto che, al contrario di ciò che accade nella vita, in questo caso non è sinonimo di vigliaccheria. Ma oggi i corridori in corsa hanno gli auricolari e ricevono ordini dai Direttori Sportivi. Il risultato è che in una tappa con cinque colli la corsa si risolve negli ultimi chilometri dell’ ultimo colle”.
Da Ganna a Binda, Bartali e Coppi, Gimondi e Merckx, Pantani. Nomi e ricordi che emozionano.
“Dopo il Pirata nessuno – ha risposto Mura – forse solo il primo Armstrong perché rappresentava l’immagini di un uomo guarito dal cancro capace di rialzarsi e vincere nello sport. Pantani mi emozionava ogni volta che scattava in salita. Poi si è scavato la fossa da solo. A Oropa prima e a Madonna di Campiglio poi, non ha saputo accontentarsi vincendo umiliando gli avversari. Mancanza che ha pagato a caro prezzo. In merito al doping non credo abbia fatto tutto da solo come credo che nessun corridore sia in grado di farlo senza un medico.
Una volta le squadre con un medico dedicato erano pochissime. Oggi tutte le squadre ne hanno almeno uno. Non credo a cause esterne alla squadra. Nessuno corridore beve da una borraccia offertagli a bordo strada da un tifoso e tanto meno lascia le sue borracce incustodite.
Viviamo nell’epoca dell’ aiutino. Nei quiz televisivi, nell’attività sessuale,  per guarire da un raffreddore o studiare tutta la notte. Di recente mi è capitato di leggere il risultato di un’ inchiesta completa di esame antidoping a neolaureati. Sconvolgente”.
Ma se Gianni Mura ha incantato raccontando un ciclismo che non c’è più il pubblico a Villa Recalcati ha potuto capire come anche giornalisti come Mura “Scrivo ancora con la mia Olivetti e detto il pezzo per telefono” siano in via d’estinzione. E a perdere sono le nuove generazioni legate al sensazionalismo e alla cronaca spiccia. Racconti, aneddoti, storie e quant’altro vanno in onda a notte fonda, in gran parte in bianco e nero. Nella gente la passione per il ciclismo è ancora viva. Più per quello dal vivo, sulla strada, che per quello visto in tv o letto sui giornali, riservando ancora simpatia per quello caotico raccontato alla radio. Caschetto e occhiali han fatto il resto. Oltre al ciclismo la gente fatica ormai a riconoscere anche i bistrattati protagonisti, i corridori. 

RB