“Il lavoro in bottega mi costringe a casa ma il cuore è a Londra con Fabrizio e i corridori paralimpici”.
La bottega è quella di Roberto Pavarin, “mago” della bicicletta, figlio d’arte, gran mogol di pedali, manubri, corone e ruote sulle bici di tanti campioni del ciclismo italiano e presidente del Gruppo Sportivo Cicli Pavarin di cicloturismo. Pavarin ha da poco salutato il corridore paralimpico Fabrizio Macchi ormai prossimo a gareggiare a Londra nella sua quarta Paralimpiade. Una Paralimpiade ogni quattro anni significa sedici anni di “convivenza” con l’airone di Bobbiate…
“Più o meno è come dici tu – risponde il Pava” – quando ho visto Fabrizio per la prima volta in sella ad una bici era poco più di un ragazzo. Oggi è un atleta vero ma prima di tutto è un uomo e un papà. Rispetto alle precedenti questa sua quarta Paralimpiade ha un significato particolare per come l’ha preparata e per come sono certo che la vivrà”.
Sei nel ciclismo da sempre e strada facendo hai conosciuto il settore paralimpico. Meccanico con i normo e con i disabili. Differenze?
“Per come ho vissuto e vivo il mondo del ciclismo il rapporto meccanico/atleta è quasi sempre sbocciato in amicizia. Quando si condividono avventure come i Campionati del Mondo e le Olimpiadi diventa inevitabile conoscersi a fondo imparando ad apprezzare i pregi e limare i difetti di ognuno. Differenze per la diversa condizione di un atleta normo da uno con disabilità non me ne vengono in mente. Una che li accomuna si: eterni rompi scatole! Se proprio devo confessare una preferenza è per il sorriso o anche solo un cenno da parte dei paralimpici. Per tutto ciò che c’è dietro ad una loro vittoria o anche solo ad una bella prestazione un loro gesto di gratitudine è ancor più gratificante”.
Fino a non molto tempo fa un corridore con disabilità poteva ritenersi fortunato potendo correre in sella ad una buona bici da strada. Oggi non è più così.
“Come in ogni altro settore esiste il progresso – continua Pavarin – ovvio che per il discorso economico il settore paralimpico sia meno assorbente rispetto ai normo. Nel caso di atleti professionisti di valore mondiale come Fabrizio Macchi la differenza del mezzo tecnico e dei materiali non esiste più. Lo stesso non si può dire in merito al resto del movimento”.
Ormai anche per gli atleti con disabilità il famoso detto di Pierre De Coubertin è finito in soffitta sommerso dalla polvere…
“Per noi romantici “l’importante è partecipare” resiste ancora. Chiaro che per una Federazione, un tecnico e un atleta sempre di più l’importante è vincere. E’ difficile veder festeggiato un campione per essersi qualificato a Olompiadi o Paralimpiadi. Più facile vederlo celebrato e carico di sponsor dopo aver vinto una medaglia, possibilmente d’oro. La società in cui bene o male viviamo è questa”.
Una società dov’è bene ritagliarsi salutari angoli di benessere come il tuo gruppo sportivo a gestione famigliare ormai prossimo a compiere i quarant’anni con il quale hai pedalato sulle strade di ogni regione italiana.
“E’ vero – risponde sorridente Pavarin – il nostra tradizionale “raid” annuale ha coperto ogni angolo della nostra penisola, isole comprese. Quest’anno siamo partiti da Caserta per poi risalire fino a Scandicci. Un gruppo di trenta tesserati ammalati del vivere in amicizia condividendo la passione per la bicicletta”.
E nel rispetto della tradizione la prossima meta del raid verrà svelata nell’annuale cena sociale che anche quest’anno si svolgerà al Ristorante “Le Delizie” di Daverio.
Una piccola anticipazione in merito in esclusiva per Varese Sport?
“Assolutamente no! Neanche se mi torturi!
In chiusura, ti ricordi il primo regalo che hai ricevuto da bambino dal tuo papà Achille?
“E chi se lo dimentica…una bici con le ruote da montare e un kit di chiavi per la manutenzione…”
RB