Relax da divano, lo stereo diffonde le note degli Yellowjackets. E mi viene da pensare. Era un venerdì di un anno fa. Il consueto scambio di opinioni col prof. Speroni. In segreteria della Scuola Calcio allo stadio, la nostra seconda casa, tra convocazioni per le partite e borsoni di maglie. Ridevamo. Come sempre. La nostra forza è sempre stata non prendersi troppo sul serio. Pagine sportive di un noto quotidiano, ci soffermiamo su di un articolo che, con perizia e dovizia di particolari, ci conduce nel mondo delle palestre attrezzate . Proprietari di centri sportivi, gestori di centri benessere, istruttori e personal trainer, tracciano un identikit dell’utenza del nuovo millennio, alla ricerca di armonia, pace, fair play da movimento, e mettono al bando i Rambo di quartiere supermuscolati. Ora è body pump, body combat, soft mind, fitness, wellness, a volte Loch Ness… Si va in palestra per socializzare e non solo per allenarsi, l’attività motoria è mezzo per raggiungere la quiete interiore ed i centri sportivi sono le nuove cattedrali di questa filosofia da cyclette. Ricordo i tempi dell’ISEF (Istituto Superiore di Educazione Fisica), ricordo la passione e la professionalità dei nostri insegnanti, il Prof. Tonetti, Il prof. Morandi, la Prof. Mapelli, ricordo le ore di tirocinio nelle scuole, l’amore per l’insegnamento della grammatica del movimento, le polemiche con i “manovali dell’attività motoria”, persone che con qualche ora di corso speciale sulle spalle avevano la possibilità (e, disgraziatamente ancora ce l’hanno) di operare in campo motorio con i bambini. E poi ricordo lei. La prima, la Creatrice, il genio che seppe, secondo il vecchio adagio “Se non è zuppa è pan bagnato”, rivoluzionare la concezione di ginnastica e di palestra, l’inarrivabile Jane Fonda. Cominciò tutto con la famosa “ginnastica aerobica”, che in origine era una preparazione atletica specifica per gli astronauti americani ideata dal Dott. Kenneth Cooper. Con fair play e furbizia non comuni, la popolare attrice ne intuì le effettive potenzialità, la plasmò ad immagine e somiglianza del pubblico medio americano, la farcì con la musica e la lanciò sul mercato. Cambiò radicalmente il modo di proporre e praticare l’attività fisica, il primo personal trainer divenne il televisore davanti al quale migliaia di massaie americane cercavano di imitare i movimenti della sirenetta Jane. Dal miliardario fino all’ultimo cittadino, dall’atleta al simil cetaceo sovrappeso, tutti si lanciarono nella nuova moda che fruttò alla ex contestatrice di sinistra valanghe di dollari. Fu un attimo e si crearono seguaci in tutto il mondo, divenne la nuova religione che impose il proprio abbigliamento, il proprio pensiero ed il modo di muoversi. In Italia, persino Barbara Bouchet, interprete di pellicole che hanno segnato la storia della cinematografia mondiale, salì in cattedra e si trasformò in insegnante di aerobica, anche se con scarsi risultati, poiché qualche mese dopo divenne la donna immagine del noto prodotto per cui “basta la parola”… Nomen omen… In ogni caso fu un successo planetario, la ginnastica venne proposta sotto svariate forme e nomi, si produssero musicassette che imponevano un certo ritmo cardiaco, la vecchia cassetta della frutta fu sostituita dallo “step”, un gradino su cui evoluivano umani di ogni forma e razza, le passeggiate al Sacro Monte subirono un drastico taglio e persino il mitico “mago libero” di oratoriana memoria finì in soffitta…Come un virus letale, la “Sindrome di Jane” si diffuse persino tra le società sportive attirando i salumieri del movimento, sedotti dalle idiozie ginniche disegnate per gli adulti, ma drammaticamente riproposte, riviste e corrette, ai bambini in età scolare. Ancora oggi, a decenni di distanza, spesso mi ritrovo ad ammirare gli “esercizi di riscaldamento” imposti da codesti scienziati ai piccoli calciatori nati nell’anno 2000, movimenti che avrebbero un senso in un atleta formato, ma privi totalmente di logica se adattati a fanciulli in età evolutiva. Pazienza. Mi sento come Davy Crockett a Forte Apache. Finchè si può, si combatte. Sperando di non soccombere.

Marco Caccianiga