Ricordi, considerazioni, pareri, battute, pensieri, molto spesso profondi, trasmessi da una casa d’Argentina. Una casa illuminata nella notte che rende la distanza atlantica, la memoria, più vicina. Nessuna fotografia, forse, gli basterà a riempire questa distanza, ma il sorriso aperto e sincero di Bruno Cerella rappresenta già un bel “ponte” per scavalcare l’Oceano. Bruno, italiano d’Argentina se ce n’è uno, forse non sa che ho giocato con le strofe di una canzone di Ivano Fossati per descrivere la sua parabola da emigrante al contrario. Storie che accomunano quei ragazzi, ormai davvero tanti in Italia sparsi nelle varie categorie cestistiche, che senza spaghi sulla valigia di cartone, si trascinano appresso eleganti trolley tenuti insieme dalla passione per la pallacanestro, da un po’ d’amore e tanta “fame”. Di tutto. Pane, soldi, notorietà, futuro. In tre parole: fame di vita.
Un viaggio che, per Brunito, ha un inizio avventuroso, per certi versi romantico, ma ben definito nel tempo.
“Tutto inizia il giorno del mio 16° compleanno quando mio nonno Domenico mentre io attendevo un gioco per la playstation, o una felpa alla moda, mi regalò un pacchetto dicendomi: ‘Tieni, questo è il mio regalo. Spero posso essere importante per il tuo futuro da giocatore’. Dentro il pacchetto, avvolto in decine di fogli coi marchi di ambasciate, c’era un passaporto italiano. Lì per lì ci rimasi male, non avendo ben capito che cosa potessi mai farne di quel documento. Solo qualche anno più tardi, al mio arrivo in Italia, realizzai il valore di quel pezzo di carta e, soprattutto, capii e apprezzai il senso di quel regalo e della straordinaria intuizione del nonno. Se oggi sono in Italia, e a Varese, felice di vivere la più importante esperienza da giocatore professionista devo dire grazie al mio avo che da inguaribile visionario ha accarezzato i miei sogni, ha spinto le mie speranze, credendo che io avessi la forza di realizzare entrambi. Non finirò mai di ringraziarlo ed è un vero peccato, oltre che una grande ingiustizia che la morte lo abbia portato via prima di vedermi con la maglia della Nazionale italiana. Si sarebbe certamente commosso. Poi, ovviamente, le altre persone cui devo tutto sono i miei genitori che a prezzo di grandi sacrifici hanno fatto di tutto per aiutarmi ed è fantastico poter restituir loro qualcosa in termini di soddisfazioni”.
Soddisfazioni che, però, sono arrivate, stanno arrivando, lentamente, pazientemente, lontanissime dalla logica del “Qui e ora” che contraddistingue la carriera dei predestinati o dei fortunati. Di quelli che, per essere chiari, hanno avuto tutto, subito e facilmente. La vicenda sportiva di Bruno, no. Non è stata esattamente così. La sua strada è lastricata di fatica e sudore. Edificata sulla determinazione e sul sacrificio. Impastata con qualche lacrima, molta rabbia e gocce di dolore. Una carriera sportiva che, partita dal basso, è proseguita sfangando con grinta, cattiveria, carattere tutte le categorie. Una carriera che una volta arrivato in cima, scivolando su destino vigliacco e crudele dodici mesi fa è precipitata di nuovo nel baratro: un ginocchio che con un rumore terribile fa “Crack” e Bruno, in una sorta di bastardo gioco dell’oca, si ritrova al punto di partenza.
“Ricorderò per tutta la vita il 25 aprile 2012, data in cui, giocando contro Milano, il mio ginocchio saltò per aria. Un infortunio serio, sicuramente grave, ma dopo l’iniziale sconforto, dopo le comprensibili lacrime di frustrazione e le giustificate imprecazioni contro la malasorte, che mai avrei potuto fare? Quell’accidente mi aveva messo con le spalle al muro e mi stava costringendo ad una reazione. Da quel momento in poi, sono stati undici mesi di cure -a proposito un grandissimo grazie ai medici di Varese, a Marco Armenise, a Mauro Bianchi-, fisioterapie, grandissimo lavoro col preparatore atletico. Undici mesi passati a ‘testarsi’: un giorno con cautela, un altro con maggior sicurezza, un altro con incertezza, un altro incassando pure un’imprevista, maledetta, frattura. Il tutto in attesa di poter riprendere il contatto col parquet, sentire l’odore della partita, assaporare il gusto di giocare per qualcosa di vero”.
Sarà per questa ragione, e per le tribolate vicende passate che in Brunito si alternano, in gradevolissima armonia, gioia di vivere e rabbia furente, felicità e rare note di dolente tristezza, entusiasmo sfrenato e serena solidità interiore. Tuttavia, di Cerella catturano altri aspetti: umiltà, semplicità, determinazione, volontà di mantenere forti radici col passato.
“Sono nato a Bahia Blanca il 30 luglio del 1986 e ho cominciato a giocare a basket tra le fila dell’Estudiantes de Bahia, squadra nella quale sono cresciuti campioni come Alejandro Montecchia, Manu Ginobili, Pepe Sanchez, Espil, i fratelli Jasen. Poi sono passato al Pueyrredon, dove ho completato le giovanili e vinto un campionato regionale Under 18 con coach Jose Luis Pisani. A diciotto anni coach Pablo Coleffi mi propose la “trasferta” in Italia: un viaggio per il quale, orgogliosamente, voglio ricordare tutte le tappe. Sia perchè sono uno dei pochi che può dire di aver giocato da protagonista in quasi tutte le categorie italiane. Sia perché in ogni piazza ho lasciato cari amici e incontrato persone eccezionali sotto il profilo umano. Quindi: Massafra in C2, Sant’ Agnese in D, Salerno dove ho vinto il campionato di C2, Potenza dove in due stagioni vincemmo il campionato di C1 e B2. Poi, la serie A a Teramo, in LegaDue a Casalpusterlengo per farmi definitivamente le ossa e prepararmi, ancora a Teramo, per il campionato, quello del 2012, della definitiva esplosione”.
L’impegno in campo e quello, anche più importante, fuori…
“Qualche tempo fa leggendo un libro “El despertar del lider (Il risveglio del leader di Kevin Cashman ndr), un racconto con forti connotati spirituali ho sentito la necessità, il bisogno interiore, di fare qualcosa per gli altri. In questa voglia di aiutare e fare beneficenza ho incontrato gli amici di Karibu Africa Onlus e insieme a loro ed altri giocatori (Tommaso Marino e Michele Carrea) abbiamo dato vita al Progetto Slums Dunk che organizza camp di basket a Nairobi (Kenya) e Lusaka (Zambia) per giovani giocatori delle baraccopoli urbane. Agglomerati in cui ho visto cose e situazioni difficili persino da spiegare davanti alle quali, se hai un pizzico di umanità e un briciolo di sensibilità non puoi rimanere indifferente”.
Così Brunito, ragazzo che “dentro” ha qualcosa -valori, idee, cuore-, in estate, anziché pensare solo a riposare in meravigliosi luoghi di vacanza o dedicare tutto il suo tempo alle amatissime immersioni, si “sbatte” come pochi facendo addirittura da allenatore-organizzatore-factotum-leader per schiere di ragazzini entusiasti in Kenya e in Zambia.
Resta, a questo punto, solo lo spazio per parlare dei playoff di questa Cimberio delle meraviglie
“Arriviamo all’appuntamento pronti, in gas, vogliosi di fare bene ma umili e consapevoli che, ancora oggi, i favori del pronostico premiano altre squadre, altri protagonisti. Meglio così. Meglio iniziare sottotraccia anche perchè, intorno a noi, l’attesa cresce e la pressione sale di ora in ora. Giocheremo con l’idea di muovere un passo alla volta e, prima di tutto, conquistare la semifinale. Poi, tutti insieme, sarà bello giocarsi quest’opportunità, anzi, questo fantastico sogno in una città ‘di basket’ come Varese”.

Massimo Turconi