Il capitano biancorosso deve tornare il punto di riferimento della squadra. A mister Sottili occorrono le sue giocate per ritrovare imprevedibilità in attacco.

Si chiamano “bandiere”, di solito sono colorate, hanno anche dei simboli. Quando sventolano fanno sobbalzare il cuore e innalzare gli animi. Perché hanno un grande significato, rappresentano qualcosa per cui lottare. In battaglia le trovi davanti la truppa, indicano con fierezza al nemico il motivo per cui un drappello di uomini è disposto a combattere senza paura. E per chi si trova a seguirle aprono la via. In una squadra di calcio le bandiere sono i giocatori-simbolo, quelli che con l’esempio e la fedeltà conquistano i cuori dei tifosi, rappresentano un punto di riferimento nello spogliatoio. Varese ne ha diverse: Corti, Zecchin e soprattutto Neto Pereira, il capitano. Emblemi di quella squadra operaia partita dalla Lega Pro e arrivata ai playoff per la A. Al quarto campionato di B molte cose sono cambiate in casa biancorossa, gente che è andata e venuta, ma non loro. Neto è sempre il capitano, quando indossa quella fascia prima di scendere in campo ripete un gesto che vuole dire tante cose. Il riscatto, l’orgoglio, la determinazione di uno che la B ha dovuto conquistarsela sul campo, partendo dal Brasile per calcare i terreni ghiacciati nell’inverno dell’Isonzo. In questa stagione sta vivendo forse il suo avvio più difficile. Non era mai capitato che in undici giornate non riuscisse a centrare la porta avversaria neppure una volta. Non mancano solo i gol, ma le sue giocate, quelle che illuminano il grigiore di una partita imbavagliata dagli schemi, quelle che ricordano perché il calcio è lo sport più bello del mondo, quelle che hanno permesso al Varese di ottenere risultati incredibili. A frenarlo oggi non sono tanto i problemi fisici, ma qualcosa d’altro. La speranza è che riesca al più presto a trovare la tranquillità necessaria affinché la sua bandiera sventoli ancora con fierezza. E intanto Sottili le tenta tutte per non perdere quota. Si trova ad affrontare la prima crisi della stagione. Di risultati, naturalmente, considerato il bel gioco che a tratti la sua squadra esprime di fronte ad ogni avversario. Nel secondo tempo di Padova, quando il Varese ha gettato al vento una vittoria che sembrava in cassaforte, è successo qualcosa che ne ha inceppato il motore. Lì c’è stato l’ultimo gol di Pavoletti (rallentato dalla sfortuna e da recuperi prodigiosi degli avversari). Il suo nome manca nel tabellino dei marcatori da 413 minuti. E la classifica ne risente. Ora è il momento di Neto. A Palermo è partito dalla panchina, cosa insolita per lui. Ha visto i compagni lottare con rabbia su ogni pallone per strappare un punto e riscattare la caduta di Empoli, soffrire fino all’ultimo minuto per proteggere la porta di Bressan su uno dei campi più ostici del campionato. Ora è il momento di Neto, Varese ha ancora bisogno della sua bandiera.

Vito Romaniello
Direttore di Agr