La gavetta è stata tanta, i viaggi numerosi, lo studio assiduo. Dopo tanta preparazione Gabriele Ambrosetti si è sentito pronto all’incarico di direttore sportivo del Varese. È stato presentato ufficialmente dalla società qualche settimana fa e le sue parole sono subito state schiette: «Il Varese quest’anno non retrocede».
La sua carriera di calciatore è partita dal Gazzada e proseguita nelle giovanili del Varese. Poi diverse stagioni a Brescia, Vicenza, Piacenza e una doppia esperienza al Chelsea prima del rientro in Italia. Negli ultimi anni della sua carriera ha giocato con la Pro Patria e la Fulgorcardano. Nel frattempo si è innamorato con un colpo di fulmine di sua moglie, portata via per mano da una festa di laurea e mai più lasciata, dalla quale ha avuto due figli.
Una volta appese le scarpe al chiodo si è dedicato al lavoro aziendale. «Sono partito facendo fotocopie per arrivare ad essere proprietario di quell’azienda. È stato molto formativo perché le società di calcio sono come delle aziende, o per lo meno all’estero è già così».

ambrosettiNato nella Città Giardino, come sei tornato a far parte del Varese?
«In realtà dal Varese non me ne sono mai andato. È questo il punto. In casa mia l’unica foto che ho appeso è quella in cui indosso la maglia biancorossa degli Allievi con lo sponsor Tigros dell’indimenticato Orrigoni. Tutto quello che è arrivato dopo non conta. Nutro simpatia e molta riconoscenza per le altre squadre in cui ho militato, ma Varese è un’altra cosa».

Cosa significa lavorare per la tua città?
«È veramente emozionante. A Vicenza la gente mi ha sempre trattato bene ed è una piazza alla quale sono molto legato, ma il mio cuore batte per quella che è casa mia. Ho vissuto sulla luna, ma il cuore è sempre rimasto a Varese. Approccio, valuto, lavoro e vivo diversamente se devo farlo per la mia città».

Questo forte legame con il tuo Varese può essere un’arma a doppio taglio? «Sì potrebbe esserlo, ma il cuore prevale sempre. Ho 40 anni e devo dimostrare tutto soprattutto a me stesso. Ho una grande vantaggio che è quello di iniziare nel mio club, ed è un valore importante. Chi sostiene il contrario è un bugiardo. Lavorare per la tua città ha un sapore diverso, molto più gustoso di allenare o giocare Milan, Inter, Benevento o Real Madrid. Nel 2012 in Scozia è fallita una realtà storica come il Ranger Glasgow. È ripartito dall’ultima serie e ha fatto la bellezza di 45mila abbonati. Quello è un amore che va oltre e io quella passione ce l’ho per il Varese».

Ti ritieni fortunato ad aver trovato un presidente che ha a sua volta entusiasmo e passione verso la sua squadra?
«Il presidente può essere un plus. Io sono qui per quello che ho fatto in questi anni; non lo ritengo un caso. Ho la possibilità di potermi confrontare ad ogni angolo. Sono uno che da Varese ce la fatta, come tanti altri. Sono uno che se commette un errore si presenta e non scappa. Rispondo nei momenti difficili e non mi farò trovare quando invece vinceremo. Nel calcio ci sono due protagonisti: giocatori e tifosi. Puoi avere una squadra forte quanto vuoi, ma davanti a zero spettatori si perderebbe tutta la magia del calcio».

Il Varese di quest’anno era da playoff? Perché si ritrova così a rischio?
«Sono arrivato in corsa non scegliendo né i giocatori né l’allenatore, quindi non posso esprimere nessun giudizio. Mi è piaciuto che, al termine della partita di Cittadella, tutti i ragazzi abbiano accettato la mia decisione di tornare insieme a Varese. Siamo scesi davanti ai tifosi e io ero davanti a loro».

ambrosetti 3È stato utile il confronto con la Curva?
«A volte si sente dire che si dà troppo importanza alle tifoserie, ma io credo che siano importantissime perché danno un contributo fondamentale per guadagnare punti in più. I tifosi, tanti o pochi che siano, fanno parte del valore di una società».

A proposito di società, che gruppo di lavoro hai trovato?
«Un gruppo perfetto, organizzato. Posso solo dire che da solo non posso arrivare da nessuna parte e non lavorerò solamente con Andreini o Montemurro, ma con tutti. E voglio citarli uno per uno i ragazzi che trovate in sede: Beppe, Michele, Stefano, Chicca, Paola, Federica, Fabio, Anna, Nicola e Marco.

Cosa ti aspetti sabato contro il Carpi?
«Il primo impatto con i ragazzi è stato positivo. Ho ascoltato e osservato i giocatori che a loro volta mi hanno scrutato. Lunedì ho parlato a loro per la prima volta come ds in carica e ci siamo detti cose importanti che devono restare nelle quattro mura dello spogliatoio. In questo momento le cose da dire sono poche, bisogna solo vincere. Venendo agli avversari, ci aspettiamo una squadra che ha sicuramente uno stato d’animo diverso dal nostro considerata la posizione in classifica».

Qual è il tuo obbiettivo personale?
«Penso al presente e vorrei rimanere senza parole, vorrei piangere a fine partita perché le lacrime sono sintomo di grande forza. Che non sia frainteso però, perché quello che ho appena descritto è il modo in cui vorrei gioire per la salvezza mia e di tutti».

Elisa Cascioli