Per scaramanzia. Per esorcizzare il fatto che potrebbe anche essere l’ultima intervista stagionale. Per guardare al futuro con un pizzico di speranza. Ma soprattutto per ringraziare un personaggio, Stefano Bizzozi, coach della Cimberio Varese, la cui figura, in questi due mesi, è passata colpevolmente sottotraccia. Tutti quando in questo periodo abbiamo parlato di quanto è stato bravo Banks, decisivo De Nicolao, importanti Polonara o Johnson e perfetti Tizio e Caio tralasciando colui che, in silenzio, con l’understatement di sempre, ha condotto la navicella biancorossa prima lontano dai guai, poi vicino ad un sogno. Domenica, contro la MPS Siena, ancora possibile.Primo allenamento Stefano Bizzozi
“Colpa”, per certi versi , anche di Stefano. “Colpa” (in realtà merito!) di un carattere schivo, riservato, più attento all’essere che all’apparire, più incline ad offrire solide realtà, che impalpabili bugie. In tanti, al suo posto, andrebbero girando tronfi e pronti a regalare il senso di un’impresa perché, parliamoci chiaro, di questo si tratta. Basta fare un “rewind”, tornare con la mente alla fine di febbraio, immergersi in un’atmosfera velenosa, per capire che, allora, subentrare a coach Frates significava accollarsi una marea di guai e, forse, molto probabile, poche soddisfazioni.
Invece, malgrado un avvio agghiacciante -ventello facile subito a Brindisi, sconfitta potenzialmente lacerante in casa contro Montegranaro-, il buon Stefano, seminatore paziente, ha continuato a spargere germogli di serenità, elargire sorrisi, trasmettere a chiunque la sensazione di una bella pace interiore.
Carisma diffuso, accettato e riconosciuto, unito ad atteggiamenti sempre positivi che, in un mondo in cui tanti hanno urlato a vanvera, con alcuni uomini classicamente sull’orlo di una pericolosa crisi di nervi, hanno fatto tutta la differenza di ‘sto mondo.
Insomma: lontano dalle esotiche spiagge di Malibu o Marina del Rey ecco che, forse, la versione tricolore di “Coach Zen”, l’abbiamo proprio noi. Qui a Varese.
“Non credo che le cose stiano in questi termini ma giusto per restare connessi con la similitudine orientale -dice Bizzozi-, di sicuro in questi sessanta giorni ho cercato di trasmettere alla squadra due incessanti mantra: gioca per un passaggio in più e aiuta se vuoi un aiuto. Il mio mantra, sempre sussurrato, poco alla volta è entrato nella testa dei giocatori che, pian piano, hanno accettato i suggerimenti e consapevolmente cambiato rotta. Oggi, con mia grande soddisfazione, posso dire che sul campo, guardando giocare la Cimberio, si notano gli effetti del dolce, ma costante martellamento. In attacco la squadra si passa di più la palla e i giocatori hanno piacere nel cercarsi e nel costruire tiri migliori all’insegna dell’altruismo. In difesa (la gara vinta sette giorni fa contro Cremona lo ha evidenziato), sono diverse le situazioni in cui i giocatori, dimostrando generosità, si immolano per aiutare un compagno che recupera un pallone, strappano un rimbalzo contro un avversario più grande e grosso, subiscono uno sfondamento, si tuffano per terra alla ricerca di un pallone. In poche parole: producono quelle giocate di sacrificio che fanno felice ogni allenatore e rendono alla perfezione la cifra morale e mentale di un gruppo”.

Parafrasando un famoso film vorrei chiederti: che ne è stato di questi “due mesi vissuti pericolosamente”?
“Per la verità non ho mai avvertito intorno a me la sensazione di imminente pericolo, nemmeno in occasione della trasferta di Pesaro, poi risultata decisiva. Certo, sapevo che il tempo a disposizione non era moltissimo e che l’esigenza di raccogliere risultati era, giustamente, assolutamente prevalente rispetto a quella di costruire. Ma allo stesso modo sapevo che al mio fianco avrei avuto ottimi giocatori e, di più, eccellenti persone, serie, motivate al lavoro, preparate al cambiamento e pronte a camminare su altre strade. A tutti i ragazzi ho chiesto di lasciarsi alle spalle improduttivi atteggiamenti egoisti, di mettere la squadra davanti tutto pensando solo a migliorare la qualità del gioco corale. Sforzandosi di giocare bene e meglio insieme. Superfluo sottolineare che le risposte che ho ricevuto da tutti sono state semplicemente perfette e così tante da meritare un ‘Bravi’”.
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È cresciuta, in maniera sensibile, l’intensità difensiva
“Su questa fase del gioco, ovviamente determinante per vincere le partite, abbiamo lavorato tantissimo ed ora la mia squadra può mettere in mostra un’organizzazione all’altezza della serie A. Funziona meglio un po’ tutto: il sistema di rotazioni, gli aiuti, i recuperi, il taglia fuori ed il lato debole è certamente un po’ meno debole. Ma l’applicazione sotto il profilo tecnico e tattico, non sarebbe servita a nulla se non vi fosse stata una forte presa di coscienza sotto il profilo caratteriale. Come dicevo prima, la squadra si è compattata sugli aspetti per così dire ‘cavallereschi’ del gioco difensivo, spremendo maggior coraggio, cattiveria, voglia di produrre un basket più fisico, più di contatto e se mi passi il termine desueto ma sempre valido, più ‘maschio’”.

Ti sei mai sentito alla prova o, in qualche modo, giudicato?
“Quando fai un lavoro come il mio sei messo alla prova, stuzzicato, radiografato, stimolato, provocato, giudicato, analizzato e chi più ne ha più ne metta ogni giorno. Fatta questa premessa, dico che i ragazzi sono stati intelligenti nel considerarmi un allenatore vero e legittimato. Quindi, non un supplente. Quindi: una persona che in quel momento della stagione era stato scelto per dar loro una mano ad uscire da una situazione sgradevole. Ma, in tutta sincerità, io mi sentivo nella stessa situazione e pronto a ricevere un aiuto da loro”.

Futuro, stagione 2014-2105: la prima considerazione che mi viene in mente è: Bizzozi coach? Perché no?
“Alt: ti stoppo subito. Se rifletto sul futuro, la mia linea di orizzonte si ferma all’11 maggio perché, giuro, nel subentrare ad un coach eccellente come Fabrizio Frates non ho mai pensato a nulla di più che fare bene, ottenere ciò che mi era stato chiesto e tornare nei ranghi. Detto questo, vivo la mia storia con l’incanto di chi ha realizzato un sogno: entrare nell’albo storico della Pallacanestro Varese. Vedere il mio modesto nome accanto a giganti del basket italiano come Nikolic, Gamba o Recalcati, solo per citarne alcuni, rappresenta qualcosa di indescrivibile e imparagonabile. Come l’emozione che mi assale ogni qual volta alzo lo sguardo verso il soffitto di Masnago e vedo le bandiere che celebrano i successi che mi hanno aiutato ad amare la pallacanestro, facendola diventare passione e amore assoluto della mia vita. Quindi: nessun retro pensiero per il domani, ma solo un grazie al Presidente Vescovi e ai dirigenti che pensando al sottoscritto, mi hanno regalato una grandissima opportunità ed il privilegio di far parte di un sistema nel quale mi trovo a meraviglia e di un società organizzata come poche altre in Italia. Insomma: non mi sono mai strappato i capelli per fare il capo allenatore, in particolare in un club dove è bello lavorare, ed è anche stimolante vivere. Dopo l’11 maggio, toccherà a loro decidere le strategie, dal canto mio spero solo di poter continuare il percorso con la Pallacanestro Varese. Indipendentemente dal ruolo. Tutto qua”.

Prima dell’11 ci sono Siena e Roma
“Una alla volta: Siena. Grande squadra, costruita per fare l’Eurolega e allenata benissimo da coach Crespi che è stato bravo ad isolare il gruppo da tutte le situazioni esterne. Hanno qualità tecniche, fisiche, atletiche, esperienza, incredibile profondità nelle rotazioni. Hanno tutto più di noi e, la classifica parla chiaro, partiranno favoriti. Ci serve un’impresa e, spero, sarà proprio questa idea, quella della ‘Mission Impossible’ a darci la spinta in più”.

Massimo Turconi