Il disastro. Il cataclisma. La sciagura. Un mondo che finisce. Un mercoledi delle ceneri. Il Brasile organizzò, per vincerlo, il Mondiale del 1950. Non fece i conti con Megera, dea preposta all’invidia, che cambiò il corso naturale delle cose. Scelse un portiere per compiere il misfatto, Moacyr Barbosa, “goleiro” del Vasco Da Gama e della Seleçao, il calciatore più martoriato della storia del Futebol, esempio di come un errore possa marchiare a fuoco la vita intera. Il prode Moacyr era famoso per indossare la maglia nera con lo scopo di confondere gli avversari, intimorirli, trasmettere ansia, come fece durante la finale del Campeonato Sul-americano del 1948 contro gli odiati argentini del River Plate parando il rigore decisivo all’attaccante Labruna (Grazie Moacyr!!). Ma, a distanza di due anni, ecco il fattaccio, la nefandezza, l’errore che causò centinaia di suicidi in un Paese che aveva organizzato, costruito, voluto quel mondiale per poterlo, finalmente, vincere. 16 luglio 1950, Estadio Mario Filho, il Maracanà, il Tempio, la Cupola della Roccia del Futebol planetario, la Grotta della Natività. Vittima sacrificale l’Uruguay. Tutti ne erano convinti tranne, appunto, gli uruguagi. Il match va come deve andare, Seleçao avanti con Friaça e già appaiono i cartelli inneggianti ai Campeoes do Mundo. Ed ecco il malevolo virus della supponenza, instillato dall’invidiosa Megera. Il Brasile passeggia e si fa raggiungere da Schiaffino. Un brivido lungo la schiena. La sicumera si trasforma in latte alle ginocchia per i 199854 spettatori presenti (fonte Enciclopèdia da Seleçao, il mio Vangelo). Mancano 11 minuti al termine. In fascia destra scatta Alcides Ghiggia (n.d.r. da quella partita, colui che non riscuote le mie simpatie è un “ghiggia”) con la palla al piede. Moacyr Barbosa riflette “ora crossa e il pallone è mio”, come dovrebbe essere, come la logica impone, come è d’obbligo per chi sa di essere solo una comparsa per il trionfo altrui. Ed invece no! Il crotalo Ghiggia calcia in porta, il sadico Ghiggia sovverte l’ordine naturale delle cose-neve d’estate, afa d’inverno, scompare l’Equatore, Dio è in vacanza. All’ultimo istante Moacyr, disperato, si getta a corpo morto sulla palla, ma non è sufficiente, Exu non ha ricevuto onori, le madri di santo hanno sottovalutato, il suo peji’ è vuoto e l’Uruguay spegne per sempre la stella di Moacyr Barbosa. “Io l’ho toccata quella maledetta palla, ma ha cambiato direzione d’improvviso” ha sempre dichiarato tra le lacrime. Nessuno gli ha mai creduto. Capro espiatorio, dovrà nascondersi per due giorni in un piccolo albergo ad Itacuruça. Continuerà a giocare nel Vasco, ma il peccato originale , la mela di Eva , non lo abbandonerà mai. Nel 1994 tentò di entrare nell’albergo sede del ritiro della Seleçao, negli Stati Uniti, ma fu respinto all’ingresso, pagando dazio per un reato che non commise mai. Morirà il 7 aprile del 2000 senza la soddisfazione di sapere che un esperto di grafica computerizzata, analizzando le immagini dell’epoca, scopri’ che davvero Moacyr toccò il pallone che cambiò inspiegabilmente traiettoria- Megera…-. Di una cosa sono certo. In Cielo avrà la sua rivincita, parerà quel tiro, il Brasile sarà Campione del Mondo, il Samba dominerà le nuvole- Angeli al pandeiro, Cherubini e Serafini al tamborim- e tutti i Ghiggia del mondo, usurpatori dei sogni, della poesia e della vittoria, dovranno vedersela con Belzebù.

Marco Caccianiga