E, infine, Manè. Il Futebol come Poesia. Offeso nel fisico-una poliomielite e la malnutrizione gli provocarono uno sbilanciamento del bacino-, il destino gli concesse una tregua rendendolo abile sul rettangolo di gioco. Una scheggia, un passerotto, appunto, Garrincha.
Carioca di Pau Grande, “estrela solitaria” del Botafogo, o’ glorioso. Manoel Francisco Dos Santos apelido de Garrincha è il mio anjo da guarda, il mio angelo custode. Manè è il “coraçao” del mio Brasile. Via le sciocchezze, i trenini, i peppeppeppe, le trombette. Le lascio a un Brazil con la zeta, un Brasile da crociera che pronuncia “la” samba. Manè è l’anima del mio Paese a colori, è il verde del prato e l’azzurro del cielo, è un assolo di pandeiro, è un toque de cuica.  Manè è l’essenza di quella finta, sempre la stessa, ossessiva, ripetitiva, con il pallone che non si muove, il corpo ondeggia a sinistra, una-due tre volte. L’avversario sa, conosce bene quel movimento, Manè è famoso per eseguire sempre quel movimento. Ora lo fermo, pensa. No. Mai. Impossibile. Come l’imprevedibilità della vita, Garrincha si invola a destra, un battito di ali, lieve come il cielo.
Manè vinse i Mondiali nel ’58 e nel ’62. Ma, paradosso, nemmeno ciò è importante, è sufficiente consultare l’Enciclopedia da Seleçao. Statistiche, goals e risultati. Manè è altro. Manè è il sogno dell’eroe zoppo che conosce il trionfo e poi il crollo. Manè è ispirazione per i poeti. Vinicius De Moraes gli dedica uno straordinario sonetto, Carlos Drummond De Andrade ne celebra le gesta, persino la Rivoluzione sociale in marcia si ferma meravigliata a vedere il signor Manè palleggiare e poi prosegue il cammino. Lo chiamavano “alegria do povo”. Un eroe. Faceva sognare i bambini. E chi porta gioia nel cuore di un bambino è parte dell’infinito. Un goal di Garrincha è un momento eterno, non lo dimentica nessuno. Forse la vita ne ha offuscato l’immagine, ha un poco scolorito quel numero sette sinonimo di meraviglia e stupore.
Manè sposa Nair, ma ama anche Iraci e  la sua storia tormentata con Elza Soares, famosa cantante degli anni Cinquanta, riempie le pagine dei giornali dell’epoca. Burrasca sentimentale, otto figli.  Al Carnevale di Rio del 1981 lo hanno sistemato su di un carro allegorico, vinto dall’alcool, una figurina, un pupazzo lontano da tutto e tutti. Nel 1983 Manè Garrincha vola via. Per sempre. E la sua storia diventa mito e letteratura. Il suo incedere claudicante un simbolo del Brasile impavido colosso. E’ pura danza. E’ molto di più di un gioco, di una partita, di ventidue maglie di colori diversi. E’ la voce di Elis e la chitarra di Joao Gilberto. Manè Garrincha è il saci perere dei miei bambini che calciano con gioia e, quando il pallone entra in porta, alzano le braccia al cielo come non ci fosse momento più felice. Manè è la Poesia e la Vittoria. Manè è il custode dei nostri sogni.

Marco Caccianiga