Il sassolino nella scarpa, quello della famosa canzone.
Il sassolino nella scarpa, ahi, quello che fa tanto, tanto male, sai. Quel sassolino Simone Giofré, direttore sportivo della Cimberio Varese, se lo toglierà tra qualche settimana in una intervista che, porca miseria, sto già aspettando con molta curiosità. Il sassolino, per quel periodo, sarà diventato un macigno, ma poco importa perché Simone Giofré, uno che di solito parla chiaro, ci regalerà di sicuro la versione “upgrade” su tutto quello che è successo in casa Cimberio in questa stagione.
Intanto, però, il dirigente biancorosso, che in questi mesi è stato tirato per la giacca, qualche volta pure in maniera maleducata, da tutti (tifosi, addetti ai lavori, mezzi di comunicazione ), è chiamato a fornire considerazioni sulla versione oggi in uso. Quella che dopo il raid di Pesaro presenta una Cimberio un po’ più serena, tranquilla, determinata.
“Avevamo bisogno di un successo per invertire una rotta che –spiega Giofré-, stava diventando negativa soprattutto dal punto di vista mentale, ma avevamo anche bisogno di due punti, peraltro perfetti perché giunti nello scontro diretto, per poterci guardare l’un l’altro negli occhi senza più vedere la paura del domani. Una paura che, aggiungo, ho sempre considerato immotivata perché la squadra vale un po’ più di quanto non faccia pensare la classifica attuale”.
Quindi, mi par di capire, mai ti saresti aspettato di ritrovarti in una situazione del genere?
“Mai e poi mai -replica secco Simone-. E, attenzione, non mi riferisco solamente ad una classifica con bilancio negativo tra vinte e perse, bensì a quella che fino a domenica scorsa ci vedeva con solo quattro punti di vantaggio sull’ultima. Questo, forse, è il dato numerico più destabilizzante”.
Da metà agosto, data del raduno, a metà marzo: sette mesi dopo quale è la tua idea definitiva del gruppo?
“Per questa squadra mi viene in mente un solo aggettivo plausibile: umorale. Un termine che racchiude tutto il bene e tutto il male di un gruppo di giocatori dai quali puoi aspettarti di tutto: dalla debacle casalinga contro Montegranaro, alle eccellenti vittorie ottenute a Reggio Emilia e Venezia, alle prestazioni di grande scioltezza come a Cremona, ai ‘trentelli’ subiti senza reagire in coppa o a Sassari. Di fatto, e se parliamo di ‘chimica’ nessuno poteva ragionevolmente prevederlo, è andato formandosi un gruppo che nel corso della stagione e nell’arco della stessa partita appare in balia di sé stesso e che, spesso, ha dato l’impressione di non sapere dove andare o a quali certezze aggrapparsi”.
Per tutto questo c’è una definizione: leadership. Che nel caso della Cimberio è ovviamente assente.
“Oltre trenta partita ufficiali giocate hanno espresso a chiare lettere una verità: a questa squadra manca un capo. Tuttavia, appurato questo aspetto, mica possiamo spaccarci la testa nel tentativo di trovarne uno. Quindi, meglio lavorare per rinforzare un altro pensiero: non c’è un capo, tutti possono diventarlo e siccome non esiste il classico leader naturale meglio lavorare per costruire una leadership diffusa. Elemento che peraltro ritengo positivo perché non offrendo punti di riferimento agli avversari, renderebbe la nostra squadra più pericolosa”.
Beh, visto la piega che hanno preso gli eventi sarebbe meglio dire: avrebbe reso più pericolosa?
“Il problema è che stiamo parlando di un concetto che, una vola sul parquet, è difficile da esprimere perché chiama in causa qualità fondamentali per un giocatore di pallacanestro: altruismo, la capacità di pensare anche per i compagni e, soprattutto, il piacere di giocare per loro, di passarsi la palla, di spendere un sacrificio difensivo in favore di chi ti sta a fianco. Noi, è bene precisarlo, non abbiamo giocatori egoisti. Non abbiamo ragazzi che mettono le loro esigenze davanti a quelle della squadra. Però, abbiamo giocatori che non sono stati capaci di far scattare queste doti con sufficiente continuità e, di più, quando le hanno messe in mostra nessuno di noi ha capito quale ‘strano’ meccanismo le abbia azionate. Insomma, come dicevo prima: u-mo-ra-li”.
Agli umorali e inconsapevoli avete aperto gli occhi sulla situazione?
“Anche prima di Pesaro i ragazzi conoscevano bene i pericoli del momento. Però, proprio per una questione legata ai loro caratteri non abbiamo voluto forzare la mano presentando loro scenari apocalittici o aumentando a dismisura la pressione, altro elemento che il gruppo sembra gradire poco. Così, abbiamo preferito lasciarli tranquilli e regalare serenità e forza all’ambiente. La scelta, credo, abbia pagato”.
Argomento Stefano Bizzozi: vuoi parlarne?
“Senza problemi: la scelta di Stefano era, lo è ancora, la migliore possibile. Sapendo di non essere alle prese con difficoltà tecniche o tattiche dovevamo solo togliere alibi e restituire tranquillità alla squadra. Pertanto, in quel momento, intendo nel dopo-Sassari, chi meglio di Bizzozi avrebbe potuto farsi carico del gruppo? Come minimo un nuovo coach avrebbe avuto bisogno di tre-quattro settimane per capire la nostra realtà. Un tempo che, oggettivamente, non avevamo a disposizione. Certo, tecnicamente le cose non sono cambiate e, giustamente, Stefano prosegue sulla strada tracciata da Frates anche se, poco alla volta, a fronte di alcune situazioni, sta introducendo il suo modo di vedere e pensare la pallacanestro”.
Nel marasma, quest’anno, ci siete finiti un po’ tutti: giocatori stranieri, italiani, dirigenti e staff tecnico. Come si resiste e, soprattutto, come se ne esce?
“Guarda, rispondendoti in modo paradossale, devo dire che non tutto il male viene per nuocere e da una stagione del genere tutti porteremo via grandi lezioni per il futuro. In particolare chi, come me o gran parte di noi, ha vissuto tutto il rosa, tutto il bello, tutto il ‘facile’ dello scorso anno. Tutti ci siamo accorti, a nostre spese, che da una stagione complicata e difficoltosa si impara molto di più. Ci siamo resi conto che l’affrontare quotidianamente problemi aguzza l’ingegno, accentua la capacità di analisi e mette in moto meccanismi di risposta che non sapevamo di avere. Insomma: senza apparire sadico, devo ammettere che un campionato del genere fa bene e tutti, almeno una volta nella vita, dovrebbero provare queste sensazioni. Sottolineo: una volta”.
Domenica, a Masnago, ci sarà Pistoia: come la vedi?
“La vedo durissima perché loro sono una squadra che nel corso della stagione ha messo in mostra miglioramenti incredibili, hanno l’entusiasmo che viaggia a mille così come vanno a mille per atletismo e freschezza fisica. In più, sentono l’odore di playoff, cosa che li renderà ancora più aggressivi e pericolosi. Però, come successo a Pesaro, i nostri dovranno scendere in campo al mille per cento e come all’Adriatic Arena essere pronti a giocare una partita a mani nude. Ho reso l’idea?”

Massimo Turconi