Annate come quelle di quest’anno della Cimberio, ti danno modo, per fortuna, di conoscere e apprezzare visi, volti, personaggi, storie che, ben al di là della pallacanestro, molto sopra a statistiche e percentuali, hanno il potere di lasciarti qualcosa dentro. Di arricchirti. Una di queste storie, bella, interessante, curiosa, appartiene a Linton Johnson.
Il “Presidente”, col dipanarsi della nostra chiacchierata si rivela uomo di grandissimo spessore morale, di rara profondità e, aspetto che non guasta mai, “portatore sano” di molteplici e variegati interessi. Roba di libro con tanti capitoli.
Primo capitolo: Linton e l’NBA.
“Due i ‘paragrafi’ che, tra gli altri, mi piace ricordare: quello con i Chicago Bulls e quello con i San Antonio Spurs. Aver fatto parte dei mitici Bulls, la squadra della città dove sono nato, ha rappresentato la realizzazione del sogno che avevo cullato e nutrito fin da bambino. Gli Spurs, invece, hanno un altro significato: l’orgoglio di aver fatto parte nel 2005-2006, anche se con poca fortuna sotto il profilo personale, di uno straordinario gruppo di campioni e uomini vincenti. L’NBA è, ancora, il privilegio di aver fatto parte di un mondo molto stimolante, aver conosciuto persone dotate di straordinario talento e allenatori come Gregg Popovich o Scott Skiles che mi hanno onorato della loro attenzione. In verità ci sarebbero tantissime altre cose da raccontare e da aggiungere ma, temo, servirebbero diversi altri capitoli”.
Secondo capitolo: l’Italia, come e perché?
“Stavo vivendo un periodo particolare della mia vita perché mia madre era malata di cancro ed io, non ero nelle condizioni mentali e fisiche per affrontare una dura stagione di NBA. Dall’Italia, per essere precisi da Avellino, arrivò un’offerta. L’accettai sostenuto anche dall’idea che, forse, si stavano aprendo nuove opportunità. Col senno di poi, credo di avere fatto bene. Molto bene”.
Terzo capitolo: Avellino. Linton Johnson ‘rinasce’ nel basket e, forse, anche nella vita. È così?
“Sì, le cose, ripensando a come si sono sviluppate, stanno esattamente in questi termini. Parlando di pallacanestro ad Avellino, dopo un inizio non privo di difficoltà, ho ritrovato stimoli e passo per costruire una seconda parte molto positiva della mia carriera. Parlando di vita, poi, è andata ancora meglio perché in Irpinia ho trovato moglie, Delia, e ho finalmente costruito la mia famiglia”.
Quarto capitolo: l’incontro con Delia che, se non sbaglio, sarebbe piaciuto anche ad uno sceneggiatore
“Se per quel nostro primo incontro dovessi scegliere il titolo di un film, questo sarebbe certamente ‘Sliding doors’, definendo in questa maniera un incontro segnato dalla casualità e da un’abbondante dose di destino. Delia ed io ci siamo incontrati in sala d’imbarco all’aeroporto di Napoli perché entrambi avevamo perso i nostri aerei. Il resto è tutto ciò che segue: amicizia, affetto, amore”.
Quinto capitolo: quale è stata la tua prima reazione quando hai conosciuto i parenti italiani di Delia?
“Devo proprio dirti la verità?”
Beh, sarebbe il caso. Poi, vedi tu…
“Mettiamola così: la prima volta che ho incontrato i suoi avevo l’atteggiamento tipico di uno che, traviato e confuso da una lunga serie di stereotipi, si muoveva con molta cautela e stava sulla difensiva. Per me, e per gran parte degli americani, gli italiani si declinano nel modo classico: mafia, assoluta protezione della famiglia, in particolare delle figlie femmine, Pasta Alfredo, Moda e tante altre amenità del genere. Insomma: non che temessi per la mia incolumità, ma comunque avevo un comportamento molto guardingo. Col senno di poi: inutilmente guardingo”.
Sesto capitolo: hai avuto difficoltà con la lingua italiana?
A questo punto interviene la gentilissima Delia, moglie di Johnson e dice: “Sì, Linton ha fatto e fa tuttora grande fatica, ma per una ragione ben precisa. È un perfezionista assoluto e nonostante abbia conseguito due lauree -Economia e Finanza- è un ostinato studioso della lingua e della letteratura inglese e pretende di usare lo stesso metodo anche per l’italiano. Della nostra lingua vuol conoscere ogni parola, forma verbale e irregolarità. Ne cerca i motivi e vuole andare a fondo di ogni questione. Ed è chiaro, del tutto comprensibile, che studiare a fondo ogni lemma richiede tempo, applicazione, fatica. L’ultimo esempio? Linton non si capacita del perché il sostantivo uovo al singolare sia maschile, mentre al plurale cambi genere diventando femminile. Di fatto gli sfuggono ancora tante cose, ma lui se ne fa un cruccio e studia, legge, si informa e chiede a tambur battente”.
Settimo capitolo. Per restare in ambito cinematografico potrei citare “Lost in translation”
“Vero: tante cose si perdono nella traduzione e, per esempio, questi aspetti rappresentano un freno nella comunicazione all’interno di una squadra, in spogliatoio e nel dialogo quotidiano con gli allenatori. In generale i coach italiani parlando un discreto inglese tecnico, ma non sempre afferrano le risposte dei giocatori USA. Poi, per timore di fare brutte figure, fingono di aver capito ingenerando così momenti di incomprensione che potrebbero essere evitati. Tuttavia, per questo argomento, talvolta spinoso, devo dire che tante responsabilità sono anche dei miei connazionali e della loro pigrizia mentale nel voler apprendere una nuova lingua”.
Ottavo capitolo. Cultura italiana: cosa apprezzi maggiormente?
“Le eclatanti, belle, clamorose differenze che si notano nelle varie zone del vostro paese. Vivere a Napoli è totalmente diverso dal farlo a Milano, Venezia, Firenze, Roma, Udine o Treviso. Ma, ai miei occhi, esistono clamorose differenze già tra Napoli e Avellino ed io sono particolarmente attratto da ciò che vi differenzia in cucina. In Italia, ogni paese possiede un piatto tipico e ha suo modo di stare a tavola. Per un appassionato del ‘mangiar sano’ come me, il vostro paese è un potenziale Paradiso”.
Nono capitolo: non mi dirai che non ami il ‘junk food’, tipico degli USA?
“Esatto, mai amato e, soprattutto, mai consumato grazie ad una famiglia attenta e anticonformista. Amo il cibo sano, sono un salutista della prima ora e, soprattutto, non fidandomi dell’industria alimentare, vorrei consumare solo cibi autoprodotti. Quindi, quando appenderò le scarpe al chiodo, vorrei trasferirmi su un’isola, acquistare un grande pezzo di terra, coltivarla e allevare animali”.
Decimo capitolo: gli incontri che ti hanno cambiato la vita?
“Nella vita, quello con mio padre. Una presenza che sento sempre accanto a me. Nel basket quello con Pete Myers che mi ha aiutato a capire meglio l’NBA”.
Undicesimo capitolo: parliamo brevemente di pallacanestro e di un Linton Johnson che in casa contro Pistoia aveva incantato con i suoi voli
“Contro il team toscano, grazie a De Nicolao, la palla viaggiava meglio e con maggior puntualità. Quindi, le ricette per finire bene la stagione sono semplici: giocare di più insieme sui due lati del campo, passarsi di più la palla in attacco e lavorare con maggior coesione in difesa. Si può fare, con la volontà di tutti si può fare”.
Dodicesimo ed ultimo capitolo: il giorno più felice della tua vita?
“Quello in cui, pochi mesi fa, è nato mio figlio Linton IV. È stato bellissimo conoscere qualcuno che viene da te e, in futuro, sarà meraviglioso trasmettergli conoscenze, esperienze ed emozioni. Sì, sarà davvero fantastico”.
La dolcissima Delia, vicino a Linton, con un sorriso pieno d’affetto, chiude leggermente gli occhi e conferma.

(foto di Simone Raso)