Non che avesse un debito ma, nel caso, Nicola Mei, col suo approdo in serie A ha sistemato pure quello ed ora è in pace con se stesso e con la sua famiglia. Quando, una quindicina d’anni fa, l’attuale guardia della Cimberio, figlio e fratello di calciatori, pur vivamente sconsigliato, aveva “dirottato” dalla tradizione familiare, nei secoli devota al pallone e scarpe chiodate, papà Sergio c’era rimasto male. Nicola, toscanaccio testardo come da consolidati preconcetti, non aveva voluto sentire ragioni: “Basta calcio, voglio giocare a basket!”, aveva sibilato un giorno. Un bel giorno, per noi cestofili. E da lì in avanti è stato tutto un correre sul parquet, infilare palloni in retina, imparare l’arte del pick and roll e così via.
“Papà Sergio, appassionatissimo di calcio, era rimasto spiazzato dalla mia decisione di piantarla lì col pallone e -ricorda Nicola-, posso anche capirlo perché mio fratello Massimiliano (classe ’81) era già avviato verso una brillante carriera calcistica nelle serie minori (tante stagioni in C1 tra Torres, Venezia, Reggiana ndr) ed io, che giocavo in porta, mi ero messo in luce come miglior giocatore nel ‘Torneo Maestrelli’, una delle più importanti manifestazioni di calcio giovanile e sembravo in grado di fare anche meglio del mio fratellone”.
In effetti, la tua, è stata una scelta abbastanza controcorrente.
“Io la definirei una scelta di cuore figlia -risponde risoluto Nicola-, della scintilla scoccata fin dal primo giorno con la pallacanestro. Non so dare delle spiegazioni, ma il demone del basket mi catturò subito e da allora, avevo tredici anni, non ho più smesso anche se, sotto il profilo sportivo, sarebbe giusto parlare del sottoscritto come della ‘Polisportiva Mei’”.
In che senso, scusa?
“Nel senso che ho praticato, e pratico tuttora, diversi sport: dall’hockey a rotelle, al baseball, al karate al tennis, cui in estate, ancora oggi, dedico tante ore, ovviamente al calcio e, da qualche anno, vado giù di testa per il surf, la mia ultima, straripante, passione”.
Già accennato al calcio, spiegami la pallacanestro
“Come detto, entro in palestra a tredici anni. Prima istruttrice la mitica Lidia Gorlin, ex-grande giocatrice, che mi insegna i primi rudimenti. La cosa mi piace, mi diverte e imparo in fretta al punto che, a 16 anni, mi chiamano a Livorno per giocare in giovanili d’alto livello. Esaurita questa ottima esperienza formativa torno a casa, finisco il Liceo e a 18 anni esordisco in serie B2 a Lucca e inizio la mia lunga e un po’ travagliata carriera nelle ‘minors’ con tappe a Imola, Riva del Garda dove, purtroppo, mi rompo per la prima volta i legamenti crociati del ginocchio. Dopo una lunga rieducazione riprendo contatto col basket alla Virtus Siena in B1, poi a Firenze, Sant’Antimo, Montecatini, Recanati, Ostuni per una mezza stagione piena di problemi economici, senza prendere soldi, ma solo tante prese in giro da parte dei dirigenti, Perugia e, finalmente, la scorsa estate, la proposta della Pallacanestro Varese”.
In mezzo a tutto questo giro vorticoso Nicola mi racconta di un altro gravissimo infortunio al ginocchio e dei “consigli”, del tutto amichevoli, offerti in quel periodo da medici, preparatori e allenatori: “Nicola, dopo tutti questi guai, forse è meglio che pensi al basket come ad un hobby”.
Ma Nick, “due palle d’acciaio”, mica ci sta a mollare il pezzo così facilmente.
“Ho fatto esattamente il contrario: mi sono allenato come mai prima: giornate intere trascorse in palestra. Prima con fisioterapisti e preparatori per un’altra rieducazione, poi da solo a riprendere dimestichezza col pallone e coi movimenti cestistici. Mesi durissimi, passati col morale in altalena ma anche fiducia ai massimi e tanta, tanta voglia di riprendere da dove avevo lasciato. Altro che -sorride Mei-, ‘lasciare’. Per quel periodo, in bilico tra speranze ed angosce, devo dire grazie alla mia famiglia, che mi ha sempre sostenuto, e ad un uomo eccezionale come Giustino Danesi, preparatore atletico di primissimo livello (oggi è all’Olimpia Milano con coach Banchi ndr) che è diventato un consigliere, un sostegno, un vero amico”.
Insomma: sei uscito dal tunnel a testa alta ed ora, sembra un po’ il “fil rouge” di tutta la tua vita, un sacrificio dietro l’altro, anche la massima serie inizia a parlare di te. L’ultima risposta in ordine di tempo, vedi la prestazione di Reggio Emilia, è stata altisonante e lo slogan potrebbe essere: “Il sogno di provarci, la gioia di realizzarlo”.
“In fondo è così perchè -conferma Nicola-, la scorsa estate, da aggregato al gruppo senza contratto, ho giurato a me stesso che avrei speso ogni goccia di sudore, mi sarei sfinito dalla fatica pur di centrare l’obiettivo. Ho approcciato con grande umiltà, voglia di imparare e l’atteggiamento di chi sa di essere l’ultimo arrivato in un gruppo di campioni affermati. Quindi, allenamenti al top dell’impegno e disponibilità totale nei confronti di tutti, consapevole che per me tutto sarebbe stato tremendamente complicato: conquistare fiducia, credibilità, minuti di gioco. Però, col tempo, sto iniziando a capire cosa devo fare, come posso essere utile alla squadra e quali sono le aspettative nei miei confronti ed ora, con la situazione più chiara ed un pizzico di esperienza in più, le cose cominciano a funzionare”.
E stanno arrivando le prime soddisfazioni, i primi complimenti e gli applausi a scena aperta
“Dopo gli apprezzamenti ricevuti in EuroCup, la gara disputata a Reggio Emilia rappresenta il primo vero exploit in campionato, ma non vorrei fermarmici sopra più di tanto. Quindi, la faccio breve: speriamo sia solo la prima di una lunga serie di gare ‘pesanti’”.
Fine del girone d’andata: quale il bilancio della squadra
“Anche in questo caso vorrei essere sintetico: siamo perfettamente coscienti che alcune cose non sono andate come sperato e che, parlando di obiettivi falliti, abbiamo deluso attese. Ma i confronti con un passato irripetibile non aiutano ed i problemi, che ci sono stati ed esistono tuttora, non possono e non devono diventare un alibi dietro il quale nascondersi. Noi, questi siamo e dobbiamo pensare solo ad una cosa: riversare sul parquet tutto quello che abbiamo dentro”.
Esattamente quello che i tifosi si aspettano contro Milano…
“Battere la corazzata Armani, in una gara che ci vede assolutamente sfavoriti, sarebbe un bellissimo regalo da fare alla nostra gente. Ma il pubblico di Varese, attento ed esperto come pochi altri, sa riconoscere le squadre generose, quelle con giocano sempre con carattere e, ne sono sicuro, sa premiarle con affetto. Quindi, adesso tocca a noi conquistare il cuore dei tifosi e trascinarli dalla nostra parte”.
E lui, Nicola Mei, esperto surfista, sa che a Masnago sta arrivando un’onda perfetta come l’Armani. Un “barrel” prima da cavalcare, poi domare.
Non facile, è vero, ma possibile…

Massimo Turconi
(foto di Simone Raso)