Ammetto pubblicamente la mia incapacità e lo confesso: non ci sono riuscito. Non sono riuscito in questa intervista tesa a presentare Ugo Ducarello, volto nuovo sulla panchina dell’Openjobmetis Varese, a parlare solo di lui che, poi, era l’obiettivo iniziale. Quello che, volando troppo alto, mi ero prefissato. Ma, del resto, il compito era veramente difficile. Una classica “Mission Impossibile”. Roba che nemmeno Tom Cruise. Obiettivo troppo presto naufragato con buona pace dello stesso Ugo, che dopo qualche minuto di chiacchierata leggendo il mio imbarazzo nel tentativo di non crearglielo, mi dice: “Guarda che il tuo è un obiettivo velleitario! Come puoi pretendere di intervistare l’assistente di Pozzecco senza parlare di lui. Anche perché, realisticamente, se mi trovo a Varese lo devo esclusivamente a Gianmarco”.
Ok, allora comincia a raccontare da dove parte questo rapporto di collaborazione
“Un rapporto professionale che, nel nostro caso, inizia prima da una profonda e importante amicizia personale. Gianmarco ed io ci siamo conosciuti quando io ero assistente di coach Meo Sacchetti e lui, da giocatore, faceva letteralmente impazzire Capo d’Orlando al punto che nel giro di pochissimi giorni era già diventato il personaggio più conosciuto, ammirato e cercato della costa messinese. Impresa abbastanza ‘easy’ per un ragazzo con le spiccate doti comunicative del ‘Poz’. Così, già dopo i primi allenamenti Gianmarco ed io cominciamo a frequentarci anche dopo gli allenamenti: si mangia insieme, si passeggia lungo il mare, si gironzola per locali, si vedono insieme partite di pallacanestro e, da subito, Pozzecco con la sua stupenda carica d’umanità, mi fa sentire grande affetto e vicinanza quando mio padre è colpito da una grave malattia. Insomma, col tempo diventiamo amici, ci si aiuta l’un l’altro in maniera bella e disinteressata e anche quando le nostre strade professionali si separano, lui telecronista in giro per l’Italia, io che da assistente seguo Meo a Sassari, tutte le occasioni sono buone per vedersi, scambiare considerazioni tecniche e sensazioni umane. Addirittura, negli anni trascorsi in Sardegna, sia Meo che io proponemmo al “Poz” di lavorare in società, ma quelli alla Dinamo erano i tempi del passaggio di proprietà e anche per ragioni logistiche non se ne fece nulla. In ogni caso, ripeto, ogni circostanza era buona per tenere vivo quel filo rosso fatto di “feeling” naturale e affinità elettive, in una relazione speciale con un persona vera, semplice, umile e sempre disponibile”.
Non può essere che così perché, almeno in apparenza, non potreste essere così diversi. Addirittura, permettimi l’esagerazione, “sbagliati” geograficamente…
“In effetti, tra noi, il ‘terrone’ che per antonomasia è caciarone, espansivo e un po’ casinista è certamente lui, mentre io, generalmente, sono più controllato in tutti gli atteggiamenti”.
Ti sei mai sentito schiacciato da una personalità così ridondante?
“Al contrario, mi sento onorato di lavorare al fianco di un personaggio che, per me, è una sorta di ‘Dio’ del basket. Ti racconto ‘sta cosa che, probabilmente, aiuta a capire la dimensione in cui si muove il ‘Poz’. In passato, prima di Pozzecco, ho avuto il privilegio di lavorare accanto a mostri sacri come Alessandro Fantozzi e Vincenzino Esposito. Giocatori apprezzati in tutti i palazzetti d’Italia. Ma solo con Pozzecco ho potuto toccare con mano il significato di popolarità spinto a fondo scala. Esposito e Fantozzi erano ‘semplicemente’ riconosciuti e applauditi. Pozzecco era inseguito, richiesto e idolatrato da tutti. Intorno alla sua figura c’era un’aurea magica, per certi versi inspiegabile”.
A questo punto domanda ovvia: come si conciliano due personalità così diverse quando entrate, oggi da colleghi, sul campo di basket?
“Premessa: tra noi c’è grande sintonia proprio perchè, cestisticamente parlando, ci muoviamo su piani abbastanza diversi. Gianmarco infatti, suo grandissimo pregio, vede la pallacanestro ancora con gli occhi del giocatore, ‘sente’ la partita in modo viscerale e la vede in modo differente dal mio che analizzo ciò che succede sul campo solo con gli occhi del tecnico. Pozzecco, invece, nel corso della gara stabilisce un canale privilegiato coi giocatori, vive gli stessi momenti al loro fianco, le loro emozioni e interpreta ciò che si sviluppa sul campo in modo molto più diretto fornendo spesso delle risposte diverse dalle mie. Però, il mio compito è esattamente questo: essere continuamente propositivo e far vedere a Gianmarco che, forse, c’è un’altra strada da percorrere, che esistono altre soluzioni, aggiustamenti, accorgimenti. In altre parole: cerco di aiutarlo a svolgere il suo lavoro, che poi è anche il mio, il nostro, nel miglior modo possibile. Poi, rispettosamente, mi fermo lì perché è al capo allenatore che spettano le decisioni, ma io sono lusingato sia per la fiducia che mi ha sempre dimostrato”.
Parliamo di te: il tuo curriculum?
“Ho 37 anni, fidanzato con Rossana, sono nel basket da sempre e dopo una trascurabile carriera da giocatore ho abbracciato presto la carriera di coach. Prima a Trapani, la mia città, sia con un progetto giovanile sia in prima squadra. Poi seguendo per alcuni anni al nord, precisamente a Lumezzane, un eccellente allenatore come Giuseppe Barbara. Chiusa la parentesi bresciana sono tornato in Sicilia, a Capo d’Orlando, come assistente prima di Federico Pasquini poi, come già detto, di Meo Sacchetti. Quando nel 2007 l’Orlandina Basket chiuse improvvisamente i battenti lavorai come scout per Montegranaro. Negli anni successivi a Sassari, di nuovo con Meo, e lo scorso anno come assistente a Barcellona”.
Il tuo coach di riferimento?
“Oltre a Pozzecco, allenatore assolutamente geniale e carismatico, mi piace molto Meo Sacchetti, il numero uno in Italia per capacità di lavorare capitalizzando ed esaltando il talento dei giocatori. Ma sotto questo profilo anche Gianmarco ha qualcosa di speciale. Tant’è vero che alla Openjobmetis i giocatori si trovano molto bene, sanno di essere utilizzati nel modo perfetto e con questa consapevolezza si mettono al servizio della squadra senza riserve, senza fare un passo indietro. Non è un mistero: a Masnago i giocatori si divertono e, ancora più bello, lavorano tanto col sorriso sulle labbra. In altre piazze non succede, ve lo garantisco. Non a caso il nostro obiettivo è quello di divertire il pubblico, portare la gente al palazzo e aumentare il livello di coinvolgimento tra squadra, tifosi e società. E, va da sé, la gente viene al palazzetto soprattutto se la squadra vince”.
Domenica pomeriggio sarà di scena Trento: come la vedi?
“Squadra tosta, con grande mentalità e in visibile crescita, Ma noi, dopo un paio di gara sfortunatissime come Reggio Emilia e Venezia, vogliamo riabbracciare il nostro pubblico offrendo spettacolo e vittoria. Non c’è bisogno di aggiungere altro”.
Dove ti vedi il prossimo 11 maggio 2015?
“Mi vedo, e mi sogno, ancora in palestra a lavorare duro. Vorrebbe dire che, insieme, in questi mesi abbiamo costruito qualcosa di bello e importante. Qualcosa che noi, i giocatori, il club, i tifosi meritiamo. Qualcosa che il Poz –conclude sereno Ugo-, meriterebbe più di chiunque altro”.
Massimo Turconi