Alcuni parlano di segreti bulgari. Di “piste bulgare”. Insomma, parlano di cose misteriose. Qui, con Willie Deane, non ci sono segreti ed il suo passaporto, ufficialmente bulgaro, ufficialmente corretto appartiene in realtà alla categoria “farlocco”. Ed il motivo non è nemmeno il caso di spiegarlo perché fa schifo, perché appartiene all’ipocrisia di un mondo, quello sportivo europeo, che piuttosto che liberalizzare e rendere tutto limpido, facile e alla luce del sole (come del resto accade in NBA) si è inventato una serie di norme, vie d’uscita, sotterfugi (vedi la Convenzione di Cotonou), parametri, numeri assurdi (Tu hai il 5+5? Io ho il 4+6+2! Noi abbiamo il 6 per 8 che, per tutti, tifosi e addetti ai lavori fa sempre 48). Ovvero un bel casino. Che poi il buon Willie se gli mostri un planisfero, forse mica ti sa individuare al primo colpo dove diavolo sta la Bulgaria. Che poi il buon Willie, ha fatto bene, ha solo sfruttato una norma che non dovrebbe esistere. Che poi Willie, laureato in una Università cestisticamente prestigiosa come Purdue -Major Inglese, Minor Matematica-, persona bella, profonda, mite, riflessiva, autoironica caratterialmente non c’entra nulla con lo stereotipo classico del suo “connazionale”: grigio, triste, freddo, diffidente per ragioni storiche. Willie no. Nessun segreto, apre gli archivi ed espone serenamente tutto quello che ha dentro. Pensieri, parole, emozioni. Tutto per conoscere meglio un protagonista della stagione varesina che, giusto per presentarsi dice:
«La mia qualità più importante -dice Deane-, è saper ascoltare le persone che mi circondano e metterle a loro agio. Questa attitudine mi permette di essere un buon giudice-aiuto per le inclinazioni altrui. Non a caso la qualità che apprezzo maggiormente negli altri è l’onestà di pensiero e di giudizio. Anche se questa, ogni tanto capita, può ferire».

Quale è il difetto che ti viene rimproverato più spesso?
«Personalmente non credo sia un difetto, ma la tendenza a mettere le esigenze degli altri davanti alle mie non è sempre apprezzate. Di fatto, ogni tanto, dovrei essere un po’ più egoista, ma proprio non ci riesco e, te la dico tutta, penso che il mio sia un “bel difetto”, in particolare per me che considero la mia famiglia e il tempo che trascorro insieme ad essa la vera felicità della mia vita. Felicità che posso tranquillamente riassumere in un istante: quando, finalmente tornato a New York, ho potuto tenere fra le mani la mia bambina per la prima volta. Felicità è ricordare quando passeggiavo con mia madre al parco e quando mio padre, con grande pazienza, mi insegnava ad andare in bicicletta».

Il giorno più triste?12.Openjobmetis Varese-Pesaro. Buoni gli ultimi 10 minuti di Deane che qui la appoggia a canestro
«Quando mio zio è stato ucciso».

Dev’essere stata una terribile tragedia
«Quando una vita è strappata ai suoi cari, e al mondo, per cause diverse da quelle naturali, è sempre una grande, oscura, terrificante tragedia».

Rimpianti?
«Tutti gli errori che ho fatto, tutte le cose che visto, tutti i dolori vissuti mi hanno fatto diventare l’uomo che sono. Detto questo: no, non ho rimpianti».

Sogno ricorrente?
«Ho un sogno tremendamente reale: aprire, nella zona in cui vivo, Schenectady, sobborghi di New York, una mia scuola elementare riservata ai bambini provenienti da famiglie a rischio. Se fossi milionario farei partire immediatamente questo progetto e tante altre iniziative che ho in mente per togliere dallo stato di povertà molte persone. Dedicherei la mia scuola a Martin Luther King, personaggio che ho sempre ammirato per la sua pazienza, perseveranza e impegno nella lotta contro il razzismo. Un aspetto che negli USA, nonostante la facciata, è ancora molto presente».

Domani incontri l’uomo più potente del mondo: cosa gli chiedi?
«Gli direi: raccontami un po’, cosa hai fatto per rendere questo mondo un posto migliore?»

Parliamo un po’ di pallacanestro: tra pochi giorni taglierai il traguardo dei 35 anni ed il gran bello della tua carriera è ormai alle spalle. Come vivi lo scorrere del tempo e, ancora, pensi di aver ricevuto quello che meritavi?
«La prima cosa che la gente pensa a proposito di questo argomento è: “Oddio, sto diventando vecchio”. Ma invecchiare è un fatto assolutamente naturale ed io vivo in assoluta serenità perché tanto è una cosa che non puoi fermare. Alla seconda domanda rispondo: sì, senza dubbio. A conti fatti, per l’impegno profuso, gli sforzi fatti, l’impegno che ho messo in tutte le situazioni agonistiche, ho ricevuto il giusto».

Il tuo ideale di pallacanestro?
«Fin da quand’ero al College ho avuto in testa un solo obiettivo: puntare solo ai risultati del gruppo. Per me le statistiche individuali, in uno sport di squadra come il basket, non hanno mai avuto valore. Così, oggi come allora, nulla è cambiato perché quello che mi interessa di più è giocare al massimo per i miei compagni».

Già, il massimo: quello che, come squadra, al pubblico di Masnago non siete ancora riusciti ad offrire: perché?
«Non lo so, davvero non so dare spiegazioni. Durante la settimana lavoriamo bene, si respira una giusta tensione e buona mentalità. Poi, la domenica, appena ci sono delle difficoltà: andiamo a rotoli. Una situazione deludente anche perché tutto dovrebbe partire dalla difesa. Invece, proprio in difesa le cose vanno peggio. E la difesa, lo sanno tutti, è solo questione di mentalità, spirito di gruppo e volontà ferrea di sacrificarsi uno per l’altro. Le cose che spesso ci mancano. Le cose che, vedi a Reggio Emilia, sono uscite solo a sprazzi. Le cose, le uniche che contano, cui dobbiamo aggrapparci per uscire da questo momento-no. Contro Venezia, se siamo uomini veri, la gara la vinciamo piegando le gambe e sudando come dei cammelli lì dietro».

Massimo Turconi