Forse non basterebbe neppure la proverbiale supercazzola del conte Lello Mascetti (interpretato al cinema dal cremonesissimo e appassionato grigiorosso Ugo Tognazzi) a spiegare come sotto il Torrazzo inseguano ancora il calcio che conta dopo due lustri di investimenti ingentissimi. Vent’anni dall’ultima Serie A e dieci dall’ultima partecipazione alla serie cadetta hanno fatto della Cremonese la big spender della Lega Pro. Almeno tra i club che hanno fallito il salto di categoria. Un obiettivo che, a occhio e croce, non sarà facile centrare neanche in questo campionato.

Se questa è la premessa, una domanda risulta inevitabile: perché? La risposta richiederebbe tempi e spazi enciclopedici. Basteranno però due numeri: 80 milioni di euro, ovvero, all’ingrosso, il valore complessivo delle rose grigiorosse nelle ultime 10 stagioni sportive (dagli oltre 13 milioni del 2009/10 ai poco più di 4 dell’anno passato) e 14, ossia gli allenatori sedutisi sulla panchina dello “Zini” nello stesso arco di tempo.
Due dati utili da soli a giustificare (per quanto possibile) i mugugni piovuti dalle tribune anche sabato scorso in occasione dell’1-1 interno con la Giana Erminio. Un clima effervescente con cui convive (dal 2007) il cavalier Giovanni Arvedi, proprietario, ma non presidente (carica rivestita dall’ex DT Gigi Simoni) del club di via Persico. Imprenditore nel ramo acciaierie e filantropo (a lui si deve il Museo del Violino di piazza Marconi), Arvedi nel giugno del 2014 è stato molto vicino a chiudere la trattativa di cessione della società. Chi era l’acquirente? Pietro Vavassori, destinato poi ad attraversare il Po e a fare tappa (termine acconcio visti gli sviluppi degli ultimi giorni) nella non lontana Reggio Emilia.

Passando al piano strettamente tecnico, l’attuale settima posizione in classifica non deve ingannare. La Cremonese ha infatti la striscia aperta di risultati utili più lunga dell’intero girone: 6 giornate (come il Cittadella) e 12 punti raccolti (sempre come i granata di Venturato e a meno uno dai 13 dell’Alessandria). Una crescita che ha fatto seguito all’ultima sconfitta: 1-0 con la Reggiana al “Mapei Stadium” il 26 ottobre. Da allora, Fulvio Pea ha girato un paio di viti mantenendosi comunque fedele al 3-5-2. “Né belli, né spettacolari. Ma siamo concreti”, questo il selfie scattato qualche settimana fa dall’ex tecnico del Monza. Come giocherà sabato a Busto? Il forlivese Nicola Ravaglia in porta; l’ex Entella Russo, Marconi e Briganti (o Zullo) in difesa; l’ex tigrotto Davide Guglielmotti largo a destra, Crialese a sinistra con Bianchi, Perpetuini e il senegalese N’Diaye Djiby (al posto dello squalificato Rosso) in mezzo a centrocampo; il capitano Andrea Brighenti (già 9 reti quest’anno e 70, tra Sambonifacese, Renate e Cremonese nelle precedenti 5 stagioni) e Forte (o Maiorino) in attacco.
Da segnalare in organico, oltre al già citato Guglielmotti, anche altri due ex: Mario Pacilli, giunto in grigiorosso da svincolato a fine ottobre e in campo sinora solo 32’ contro la Giana Erminio, e Giacomo Gambaretti, difensore visto allo “Speroni” nel campionato di Seconda Divisione 2011/12.

Sul fronte precedenti, la recente tradizione non è esattamente favorevole alla Pro Patria. Un solo successo negli ultimi otto confronti diretti (il 3-1 del 25 aprile scorso) a fronte di cinque sconfitte e due pareggi (nella foto, il 2-2 del primo marzo 2009, ndr). Insomma, un confronto tostissimo rigorosamente sotto il segno della Tigre. Quella biancoblu, quella grigiorossa e quella che per natali e soprannome lega le due città. Cioè Mina, al secolo Mina Anna Mazzini (o Mina Anna Quaini secondo l’anagrafe svizzera).  Già perché la Tigre di Cremona, in realtà è nata a Busto.

Giovanni Castiglioni