Volo AZ 1218. Numero del volo non casuale. Come il bilancio dell’Openjobmetis Varese. Come 12, le vittorie, e 18, le sconfitte di questa annata maledetta. Una stagione che ha rubato l’anima a tutti quanti: tifosi visceralmente innamorati e tiepidi appassionati; giocatori emotivamente coinvolti e algidi mercenari del parquet; staff tecnico; dirigenti e addetti ai lavori. Tutti (quasi tutti, in realtà…) spediti in cielo dall’entusiasmo iniziale e poi trascinati giù, in modo violento e inaspettato, nel gorgo nero della delusione. Una stagione nevrotizzante che ha lasciato sul campo qualche “cadavere” cestistico e un’assoluta certezza: alcuni eventi, inattesi, hanno avuto come effetto collaterale la chiusura di un ciclo che, tra alti e bassi, era cominciato nel lontano 2008-2009. Così, tra un passato che non ritornerà -forse, magari, mai dire mai, troppe ne abbiamo viste in un mondo non esattamente limpido-, e un futuro tutto da scrivere eccoci, dunque, a motori scaldati, al consueto alfabeto.
A come SERIE A – Alzi la mano chi, nei 36 terribili giorni che vanno dal 26 gennaio, gara a Cantù, al 2 marzo, gara a Trento, non ha temuto di perderla. La serie A. Perché il primo assioma della legge di Murphy è sempre lì a ricordarcelo “Se qualcosa può andare male, lo farà” e la versione relativistica della stessa serve a rinforzare il concetto: “Tutto va male nello stesso tempo”. Quindi, in poche e crude parole, in quel periodo ce la siamo vista brutta perchè, come noto, per implodere basta poco.
B come BALANZONI, Jacopo – Il buon Jacopo considerato, secondo me a torto, solo “animalone” da allenamento, solo in veste di classico “quarto lungo”, conserverà per sempre il ricordo del 12 ottobre 2014 quando, uscendo dalla panchina, decise il derby contro Cantù grazie ad energia e faccia tosta. “Robe” che soprattutto un varesino, che conosce bene l’atmosfera e gli “odori” del derby, riesce a produrre. Balanzoni, indipendentemente da cosa farà in futuro, e da che piega prenderà la sua carriera, sarà ricordato come una sorte di Sergio Rizzi del nuovo millennio. Il compianto Sergione come “eterno ragazzo di Anversa”. Jacopo come “ragazzo che piegò la VitaSnella”.
C come CALLAHAN, Craig – Bella persona, prima di tutto. Giocatore più che discreto e utile perché umile e consapevole dei propri limiti. Arrivato tardi in serie A, ha dimostrato di meritarla con cifre di tutto rispetto per un panchinaro: 9 punti e oltre 4 rimbalzi in 19 minuti di media. Ottimo soprattutto nel ruolo di “4” tattico per la capacità di aprire le difese grazie al suo tiro dall’arco. Eccellente, credo, ho sentito dire, anche per il suo ruolo in spogliatoio: giocatore esperto e persone seria che non ha mai creato un problema. In una stagione del genere, è già tanto.
C come CASELLA, Andrea – Ragazzo caparbio, dotato di grande carattere, è cresciuto col crescere della stagione. Prima parte del campionato da oggetto sconosciuto, da soprammobile, da abbonato RAI con un posto in prima fila: solo 38 minuti con 9 punti, peraltro tutti realizzati contro Reggio Emilia. Girone di ritorno disputato con un altro passo: 49 punti, 142 minuti di gioco e diverse prove interessanti. Forse, dico forse, magari, in un panorama che presenta pochi italiani sui quali puntare, Casella meriterebbe una “chance”. Più vera, però.
C come CAJA, Attilio – Qualche giorno fa scartabellando nel mio sconfinato archivio cestistico ho “beccato” un Caja d’annata. Un Caja di trent’anni fa alla guida di una formazione giovanile della Vigorelli Pavia (ricordi, Attilio, il fratello di Michele Zeno, Baccalari e compagnia?). Con Attilio -che, per inciso, ha lavorato benissimo e, mio parere personalissimo, meriterebbe la conferma senza se e senza ma- avremmo davvero tanta pallacanestro, tecnica, umana, aneddotica, da raccontarci. Ma non il tempo per farlo. Questo per dire che “Artiglio” è allenatore di lunghissimo corso, esperto, preparato tecnicamente e preparato, nel senso di pronto, ad affrontare tutte le circostanze. Anche quelle strane, misteriose, incomprensibili che forse, chissà, probabilmente, non lo terranno a Varese per la prossima stagione. Anche quelle per cui il lavoro di un allenatore non vale più per quello che produce sul parquet. Ma vale per le perverse logiche di mercato. Ma vale perché legato alle decisioni di qualsivoglia GM o procuratore. Ma vale anche, e qui il discorso si farebbe più spesso, per la volontà del club di lasciare in mani altrui una decisione così importante e delicata. Peccato, se fosse così. E, in ogni caso, la domanda che giro pubblicamente al personaggio che segue è: perché, sempre dovesse finire così, rinunciare a Caja? Quali le ragioni vere, sostanziali, di un eventuale no ad Attilio?
C come COPPA, Stefano – Il Presidente della Pallacanestro Varese è stato, suo malgrado, il grande protagonista della stagione biancorossa. L’uomo, al campionato del debutto da “Numero 1” di un club prestigioso e onorato in tutta Europa, giustamente covava ambizioni completamente diverse, ma i progetti iniziali, e i sogni di breve periodo, sono stati negati, cassati, cancellati e dissolti da “millemila” situazioni negative. Però, se è vero che la tempra la si vede, e la si apprezza, nei momenti duri, ecco che Stefano, lui sì cordiale e disponibile oltre ogni immaginazione, capito l’andazzo ha preso fra le mani il timone e con l’aiuto di collaboratori e amici fidati ha condotto in porto, senza danni eccessivi, l’annata. Quest’ultimo aspetto, giusto ribadirlo, tutt’altro che scontato. Nel corso della stagione ne ho raccolto le confidenze e qualche pensiero profondo. L’uomo mi è sempre parso sincero, determinato e solido nei suoi pensieri. L’uomo, ne sono convinto, meriterebbe per il futuro qualche soddisfazione in più.
Domani il secondo appuntamento…
Massimo Turconi