Il momento, lo sapete tutti, è durissimo. In queste tre settimane tante ne sono trascorse: dal match perso in casa contro Venezia, dal secondo successo “del Meo” Sacchetti in Coppa Italia, dalla sconfitta subita a Trento. In venti giorni sopra la Openjobmetis Pallacanestro Varese si sono biblicamente aperte le cateratte del cielo ed è sceso giù di tutto. Inutile riassumere cosa. Quindi, in questo momento, in attesa di capire come sarà la Varese di coach Attilio Caja, uso le parole di un altro allenatore. Di calcio. Rudi Garcia, mister della AS Roma. Dal tecnico francese prendo e modifico a mio piacimento una frase significativa: «Riportiamo il GIOCO della pallacanestro, al centro del villaggio, al centro della nostra “chiesa”».
Quindi, dopo tanto bailamme, tanti casini riportiamo al centro di Masnago, la nostra cattedrale preferita, i pensieri di una persona seria come Mauro Bianchi, fisioterapista della Openjobmetis, che in soli dieci anni di frequentazione dello spogliatoio varesino ne ha già viste di tutte i colori. Una decade intensissima e piena di avvenimenti: i playoff di Ruben Magnago, la dolorosa retrocessione targata Mrsic-Bianchini-Hodge-Holland-Brown, l’immediato ritorno in serie A, gli anni della rinascita con Pillastrini-Recalcati, la clamorosa stagione “vitucciana”, quella un po’ meno fantastica di Frates per finire con l’inquietante presente.

Tantissima “roba” e già tonnellate di esperienza per Mauro, allievo di un “santone” come Sandro Galleani.
«I comportamenti, gli insegnamenti, le parole di Sandro rappresentano per me l’invisibile, ma ferma traccia da seguire ogni giorno e -dice Mauro in apertura di intervista- nel mio operare quotidiano ogni tanto mi chiedo: “Ma cosa avrebbe fatto Sandro in questa situazione?”, e tornando indietro coi pensieri, rivedendo il “film”, trovo sempre le risposte corrette e adeguate».

Già, e in questo periodo di crisi lacerante cosa avrebbe fatto “Sandrino” e cosa fa invece Mauro?
«Premessa: nel nostro lavoro il contatto con i ragazzi è molto presente e, passami il termine, quasi intimo. Con loro passo 6-8 al giorno, ma durante le trasferte, vissute fianco a fianco, il rapporto diventa totalizzante. Così, credo che Sandro avrebbe fatto esattamente quello che faccio io: soppeso la bontà dello spogliatoio, lavoro per eliminare eventuali malumori, frizioni, momenti di scoramento o disagio, sottolineo i momenti positivi, raccolgo confidenze, cerco di dare suggerimenti a chi me li chiede e tanto, tanto altro».

Quindi: soppesato il tutto, cosa dice la bilancia?
«Dice che nel nostro stanzone le cose, per fortuna, vanno ancora molto bene. Dice che il gruppo continua ad essere affiatato, coeso e in possesso di valori autentici e condivisi. Dice che il confronto tra loro è sempre franco, diretto, sincero. In buona sostanza dice che i nostri uomini non sono “falsoni” e che proprio questa qualità ci darà una grossa mano ad uscire dai guai. Per esempio nel 2007-2008, stagione della retrocessione, ricordo uno spogliatoio molto frammentato con abbondanza di espressioni insofferenti e/o menefreghiste, giocatori che si “s-parlavano” alle spalle, scarso attaccamento alla maglia e diverse altre negatività. Le differenze tra oggi e allora sono molto marcate: per questa ragione il mio livello di fiducia, oggi, è elevatissimo».

Che idea ti sei fatto della crisi attuale: perché siamo arrivati a ‘sto punto?
«Dopo l’ottimo avvio, l’uscita di scena di Kristjan Kangur ha rappresentato una mazzata terribile sotto il profilo tecnico e psicologico. Alla squadra è venuto a mancare l’elemento equilibratore di molte situazioni sul parquet e in spogliatoio. Kristjan, persona splendida, ha la capacità di tener legati tutti quanti con cose concrete e come tutti gli uomini di poche parole preferiva, preferisce tuttora, parlare con i fatti. Ecco, prima è venuto a mancare Kangur, poi sono arrivate alcune brutte sconfitte, poi è uscito di scena anche Diawara, poi se n’è andato Robinson, capitano vero della squadra, sono arrivate altre sconfitte e se n’è andato anche l’entusiasmo iniziale. Sono subentrati timori e soprattutto tanta insicurezza per aver perso uno dietro l’altro gli uomini-sicuri, le certezze della squadra. Tutto il resto -Daniel, Deane, le dimissioni di Cecco e Poz e altro ancora-, rappresentano solo tanti pezzi di vetro di un vaso esploso per le tensioni e la troppa pressione. Un vaso che, adesso, tutti insieme, dobbiamo lavorare duramente per ricostruire».

Dal tuo lettino per i messaggi hai visto passare tutte queste “complicazioni”Ferraiuolo
«Nel mio lavoro contano diversi aspetti: capire se i giocatori sono assillati da eventuali problemi e riflettere sul come intervenire. Il tutto senza perdere mai la loro fiducia: sarebbe un errore imperdonabile. In questi mesi ho cercato di filtrare, “shiftare”, analizzare, sottolineare o accantonare ogni parola sibilata dai giocatori. In presenza di messaggi importanti e delicati lanciati volutamente dai ragazzi ho sempre informato Massimo Ferraiuolo, grande persona che dall’alto della sua esperienza e sensibilità ha scelto come agire».

Mauro Bianchi “amico” dei giocatori, ma fino a che punto?
«Amico sì, ma mantenendo sempre intatta la reciproca professionalità. In ogni istante rappresento il club e ho ben chiaro che certi limiti non vanno oltrepassati. Così, una pizza o un aperitivo insieme ogni tanto possono passare, ma “far serata” con i giocatori in discoteca no, proprio no. Non è professionalmente corretto, oltre che essere una palese violazione del codice etico richiesto dalla società».

Amici sì, chi?
«Tanti, difficile citarli tutti. Tra gli ultimi: Dunston, Cerella, Stipcevic, Mei, De Nicolao. Ci sentiamo spesso e con senso di vera amicizia».

Il tuo lettino, come il famoso “psychiatric help 5 cents” di Lucy dei Peanuts, per chi, soprattutto?
«Aiuto psichiatrico mi sembra decisamente esagerato perché fortunatamente tutti i nostri ragazzi sono persone serie e con la testa che “gira” bene. Se invece intendi qualcuno che sul lettino dei massaggi oltre a togliersi canottiera e pantaloncini si mette a nudo anche come persona, cito il grandissimo Brunito Cerella: ragazzo simpaticissimo, cordiale, aperto, profondo, sincero. Un numero uno».

Quali invece gli “uomini di ferro”, quelli che: “Io? Mai massaggi”
«Nick Mei e Janar Talts: praticamente mai visti, sul lettino».

Il basket in questi anni è cambiato tanto, forse troppo: cos’hai capito di veramente importante, forse decisivo?
«Una cosa l’ho capita: se non hai giocatori di alto livello, di grandi qualità, che sanno sempre cosa fare in campo e come gestirsi, bisogna comportarsi in altro modo. Quindi lavorare tutti insieme, e più di tutti l’allenatore, per creare un rapporto umano, entrare nel cuore e nella testa di questi ragazzi, metterli a loro agio e spingerli a superare i loro limiti. Ma non tutti gli allenatori, per esempio coach Frates, eccellente sotto il profilo tecnico e tattico, sono pronti a mettersi in gioco da questo punto di vista. Allenare, anche benissimo, la squadra due ore al giorno non basta più e non avere relazioni è un “lusso” che, oggi, non puoi permetterti».

La più grande delusione provata in questi anni?
«Potrà sembrarti strano, ma più che la retrocessione del 2008, più che la finale scudetto mancata con Vitucci, mi pesa il non aver centrato i playoff lo scorso anno. Dopo il cambio Frates-Bizzosi, la squadra aveva riacquisito serenità, forza, voglia di lavorare e quel gruppo avrebbe davvero meritato la post-season. Poi, peccato per la famosa testata dell’arbitro a Banks: senza quell’episodio avremmo battuto Siena e centrato i playoff».

Eccolo, dunque, solo un “assaggio” di Mauro: ragazzo concreto, disponibile, serio, intelligente, amante di musica, Ligabue fra tutti, viaggi, Thailandia fra tutti, e fotografia:
«Una passione che mi è stata trasmessa da mio padre e che adesso coltivo grazie all’aiuto di un fuoriclasse come Simone Raso, il nostro fotografo ufficiale».

Ma, più di tutto, Mauro è innamorato della Pallacanestro Varese.
«Sono almeno 25 anni che la mia vita gira intorno al basket e a questa società: qui ho giocato e ho imparato ad amare questo sport. Qui, che colpo di fortuna, ho anche trovato la mia strada professionale. Farei di tutto per questo club».
Speriamo che i giocatori prendano esempio “dal Bianchi”: fare di tutto, e di più, potrebbe essere già una bella addizione per conquistare la salvezza.

Massimo Turconi