Esterno: notte, le incantevoli colline del Varesotto, un cielo stellato che “kantaniamente” invita a pensare.
Interno: elegante appartamento abitato da Gianmarco Pozzecco in versione mooolto rilassata -pantaloncini corti e ciabatte-, e Tania, la sua fidanzata: una presenza quasi invisibile, ma soave nella sua leggerezza. Il “Poz”, per la prima volta dalle sue dimissioni, parla, si confida e apre molti cassetti della memoria. Da alcuni svuota il contenuto senza timori. Da altri estrae solo poche note. Altri ancora, infine, sembrano le scatole di “Jack in the box”: meglio richiuderli subito. Sorprese sgradite, ricordi troppi dolorosi, eventi irriferibili, segreti che è meglio custodire.
Poi, quasi fossero appesi alle pareti, ci sono i “murales pozzecchiani”, poster sui quali tutti possono leggere tutto perché non vi sono verità da nascondere.
«Il primo poster riguarda ovviamente il mio stato d’animo che -dice Pozzecco-, dopo la vittoria conquistata dai ragazzi e da Attilio Caja contro Caserta è mutato completamente. Adesso sono tranquillo e felice perché la salvezza matematica ha spazzato via ogni mia sofferenza. Fino a quei “maledetti-benedetti” due punti strappati alla Pasta Reggia vivevo in uno stato di perenne agitazione poiché mi sentivo ancora responsabile di gran parte della situazione. Una sofferenza mentale che negli ultimi due mesi mi aveva davvero prostrato anche fisicamente togliendomi la voglia di frequentare gente e vivere la pallacanestro come avevo sempre fatto: in modo naturale, col sorriso sulle labbra, a contatto con le persone. Nelle ultime settimane -chiedi pure conferma a Tania-, ho vissuto molto spesso chiuso in casa, con addosso la malinconia dei giorni tristi. Da qualche giorno, per fortuna, il tappo è saltato e posso ricominciare a vivere perché essendo innamorato patologico di Varese soffrivo come una bestia nel vedere la mia ex-squadra con quella classifica».

Openjobmetis Varese-Acqua Vitasnella Cantù. Lo show di Gianmarco PozzeccoHo l’impressione che se il tuo rapporto con la Pallacanestro Varese come coach fosse una canzone, questa sarebbe certamente “Questo piccolo grande amore”: un sentimento folle, totale, ma durato troppo poco: è così?
«Sì, ci può stare -risponde Gianmarco-. L’estate scorsa ho avuto il privilegio di vivere qualcosa di straordinario. Io, Gianmarco Pozzecco, torno a Varese dopo una dozzina d’anni di lontananza per realizzare, in questa città, la mia città, un altro sogno pazzesco: allenare per la prima volta in serie A. Un sogno che diventa realtà all’esordio vincendo nientemeno che il derby contro Cantù. Dai, roba che nemmeno un grande sceneggiatore! Detto questo, confermo, l’amore non è durato quanto avrei voluto».

Finito male…
«Per come si è concluso non ci sono responsabilità da addossare ad alcuno. Ho scelto io di farmi da parte perché, in quel momento, alla metà di febbraio, era l’unica cosa da fare. L’unico gesto di vero amore che potevo ancora regalare ai miei giocatori e ad un gruppo di dirigenti -Coppa, Salvestrin, Gandini e altri-, cui devo tantissimo e che avrebbero meritato molto di più».

Te la metto come battuta: quello scivolamento laterale ti è pesato quasi come quelli che ti toccava fare in difesa quand’eri giocatore?
«Pure di più perché, da giocatore, sapevo che qualche compagno di buon cuore ci avrebbe messo una pezza, mentre in questa circostanza la responsabilità di alzarmi dal tavolo oppure continuare “la mano” toccava solo a me. Così, puoi solo immaginare quanta fatica, quante perplessità, quanti ripensamenti e dubbi ci sono stati dietro ad una simile decisione. Ti dico che se fossi stato solo un pizzico più egoista sarei potuto rimanere perché, è la pura verità, anche dopo la pessima gara persa in casa contro Venezia tutta la squadra stava ancora dalla mia parte e, lo giuro, diversi ragazzi in quel periodo sibilarono: “Non vogliamo che tu te ne vada. Piuttosto retrocediamo, ma lo facciamo con te”. Insomma: una solidarietà importante quella espressa, in mille maniere, dai miei giocatori. Tuttavia proprio quelle frasi, pesanti e significative, mi hanno fatto capire che tutti quanti stavamo per imboccare una china pericolosa. Una discesa che, di quel passo, con quella mentalità, ci avrebbe portato all’auto-implosione. In quel momento, in un lampo di lucidità, ho realizzato che nulla, mai e poi mai, avrebbe giustificato la retrocessione e che io, in tutta coscienza, non mi sarei mai preso la responsabilità di una cosa così devastante e avvilente come un’eventuale retrocessione».

Quindi?Openjobmetis Varese-Reggio Emilia. Pozzecco applaude il pubblico
«Quindi, come risvegliato all’improvviso da un sonno stuporoso, ho capito che per il bene della Pallacanestro Varese dovevo rimettere il mandato e nel farlo sono stato contento di aver offerto alla società l’ultimo consiglio giusto a Stefano Coppa e compagnia: “Andate tranquilli, coach Attilio Caja è l’uomo giusto da cui ripartire”».

Cos’hai pensato appena hai svuotato l’armadietto?
«Il primo pensiero, che in realtà mi assillava da tempo, è stato: ho fatto una cavolata nell’accettare il ruolo da head-coach. Col senno di poi sarebbe stato meglio un periodo preparatorio, diciamo un paio di stagioni, come assistente. Questo perché, a conti fatti, mi sono accorto che il salto dalla LegaDue alla serie A è davvero impegnativo. Non tanto dal punto di vista tecnico-tattico, quanto sotto il profilo mentale perché al top sono richieste concentrazione, dedizione, applicazione, mentalità 24 ore su 24. Un atteggiamento che si può imparare anche lavorando al fianco di allenatori più esperti e affermati. Però, si sa, col senno di poi ci fai poco, mentre io, ripeto, dieci mesi fa, ricevuta l’offerta di Varese, ero l’uomo più contento del mondo e tornando indietro rifarei esattamente le stesse mosse».

A proposito di “allenatori più esperti e affermati”: cosa pensi di coach Caja?
«Credo che Caja, tecnicamente e umanamente, sia stato eccezionalmente bravo dimostrandosi una volta di più un allenatore di primo livello. Attilio ha gestito molto bene tutte le situazioni proponendo alla squadra chiarezza di idee che, nella confusione generale, era venuta meno nelle ultime settimane della mia gestione. Caja ha ripulito il gioco, diventato subito più fluido e produttivo, e scelto bene nuove gerarchie tecniche e mentali. Insomma: un lavoro eccellente. Aggiungere altro ai risultati ottenuti, vedi il brillante successo contro Sassari, sarebbe superfluo».

Pozzecco-Vescovi: ne vuoi parlare?
«Mica tanto anche perché -commenta con onestà Gianmarco-, sarebbe più giusto sentire anche il suo parere. Comunque, sinteticamente, posso dirti che, in una situazione di crisi, sono venute clamorosamente a galla le marcate differenze caratteriali tipiche di due persone con caratteri forti e due modi opposti di esercitare la leadership. I risultati sportivi negativi ci hanno fatto entrare in rotta di collisione, ma è stata soprattutto la strategia sul come uscire dall’impasse che ci ha fatti esplodere. Di fatto, abbiamo sbagliato entrambi».

Openjobmetis Varese-Milano.Pozzecco, Rautins e Robinson Visto che stai parlando di sbagli: quale errore non ti perdonerai mai?
«In merito non ho dubbi: il taglio di Dawan Robinson. Quella decisione rappresenta la più grossa stronzata della mia vita da allenatore. Una scelta dettata dal fatto che in quel periodo avevo le “arterie chiuse” dalla sofferenza e al cervello non mi arrivava nemmeno un grammo di ossigeno. Così, inseguendo chissà che cosa, chissà quali fantasmi, ho cacciato un ottimo giocatore e, soprattutto, una grande persona. Un attimo dopo quel “taglio” ho perso tutta la stima verso me stesso e ripensando alle lacrime di Dawan dopo avergli comunicato la mia decisione mi sarei auto-esiliato a Sant’Elena. Nei confronti di Robinson avrò, per sempre, un debito da ripagare anche perché, giusto per aumentare la prostrazione, Dawan è stato il primo che dopo le dimissioni mi ha scritto un bellissimo sms con parole di vicinanza e affetto. Se domani Robinson si trovasse nel deserto senz’acqua e benzina sarei il primo ad accorrere in suo soccorso. Troppo, glielo devo».

E Daniel?
«No, Ed, no. Non voglio entrare in particolari sgradevoli, ma ti basti sapere che fino all’ultimo giorno Daniel ha mostrato scarso interesse nel voler essere una persona positiva per il nostro gruppo. A lui, in tutta sincerità, non devo nulla».

Domenica a Masnago sarà di scena la “tua” Capo d’Orlando, con i “tuoi” Basile, Soragna, Nicevic
«Openjobmetis e Upea: due squadre finalmente “belle”, tranquille, pronte a regalare spettacolo per una splendida festa di fine stagione».

Ad un tratto la potenza devastante dei ricordi, unita al rimpianto di non poter essere presente velano gli occhi del “Poz”. E siccome le patate, che da oltre un’ora bollono in pentola, saranno diventate ormai un immangiabile puré, è meglio chiudere qui. Con tante cose non dette. Con tante cose ancora da dirsi. Con Gianmarco -ricordo l’estate di Pila nel lontanissimo 1994 sotto lo sguardo severo di coach Dodo Rusconi-, finisce sempre così. Con appuntamenti sospesi. Come i sogni di quest’uomo che sulla soglia del cancello confessa:
«Non avrei mai dovuto lasciare Varese. Volevo, dovevo diventare il vostro “Giacinto Facchetti” e, ai tempi, non ci sono riuscito. Però, l’idea di rivincere qualcosa con Varese non l’ho ancora mollata. Non so come, né quando, ma prima o poi -conclude Gianmarco-, ce la farò. Vedrai. Vedrete».

Massimo Turconi