Vedi correre Andy Rautins su e giù per il parquet. Lo vedi chiudere la transizione con quelle triple assolutamente clamorose. Lo vedi uscire dai blocchi e, a tutta velocità, armare il suo braccio e tirare con pazzesca rapidità d’esecuzione. Lo vedi spostarsi lateralmente in difesa con la velocità che caratterizza i campioni. Poi, l’unica cosa che ti viene in mente è un potente assolo di chitarra. Uno di quei “riff” che hanno fatto storia. Uno di quei nomi di chitarristi che son parte della leggenda. Normale, in fondo, per Andy che, quando non è chiuso in palestra, si spende nella sua passione per la musica. Imbraccia la chitarra, prende il plettro e gira magicamente sulle corde creando belle armonie. Bel personaggio Rautins. Uomo profondo, pieno di interessi e ricco di esperienze e “vissuti” che val la pena di conoscere. Peccato solo avere poco “pentagramma” a disposizione perché in sua compagnia la “chiacchiera” potrebbe durare ore e ore.
Cominciamo con una “domandina” da poco: quale pensi sia la tua migliore qualità?
«Capisco al volo quando le persone che mi circondano -siano essi parenti, amici o compagni di squadra-, si trovano in difficoltà. In quel preciso istante sento forte il desiderio di cercare di aiutarli. Mi piace pensare di poter essere parte del benessere di chi mi sta intorno».

E il tuo peggior difetto?11.Openjobmetis Varese-Bologna.Si sblocca anche Rautins, autore di una prova totale sia a rimbalzo che in versione da assistman
«Perdo facilmente la pazienza, soprattutto in campo, in particolare quando vedo che i miei compagni non si stanno impegnando o non stanno dando il massimo per portare a casa la vittoria. Allora vado fuori di testa, mi arrabbio e basta osservare le mie smorfie per accorgersene».

Quale è la tua idea di felicità?
«Felicità è avere una famiglia e amici che ti sostengono. In buona sostanza, sentirsi amato».

Quale è il tuo peggior rimpianto?
«Non ho rimpianti: i momenti più negativi e gli errori commessi rappresentano qualcosa da cui trarre vantaggio e imparare».

L’eroe della tua vita?
«Nessun dubbio al riguardo: mio padre è il mio eroe e, per questo, mi sento davvero fortunato. Papà oltre ad avermi trasmesso la grande passione del basket -Leo Rautins, ottimo giocatore negli anni ’80 e ’90, con una lunga carriera tra NBA, Italia, Europa e Nazionale Canadese, ex-allenatore e oggi cronista e analista tecnico per i Toronto Raptors- è anche un modello di vita: è gentile, sempre disponibile ed è la persona che vorrei diventare».

Mai sentito in competizione con lui?
«Assolutamente no. Rispetto a me era sicuramente un miglior tiratore, mentre io, forse, me la cavo meglio in difesa. Ma, al di là delle considerazione cestistiche, abbiamo un bellissimo rapporto ed io lo considero il mio migliore amico. Purtroppo ci vediamo solo nel periodo estivo, quando ritorno negli States, ma ci sentiamo spesso».

Raptors uguale NBA: come consideri la tua passata esperienza con i Pro? Un sogno che si è realizzato o una delusione per non essere più parte di quel fantastico mondo?
«Ovviamente mi sarebbe piaciuto continuare a giocare in NBA e un pizzico di disappunto, è innegabile, c’è. Però, prevalgono i ricordi positivi e la certezza di aver vissuto una grande esperienza che mi fatto imparare molto facendomi crescere e maturare come uomo e giocatore».

Andy Rautins: protagonista a livello NCAA, NBA e in Europa. Quali le tue considerazioni se dovessi fare un confronto tra il basket italiano e americano?
«Partiamo dal pubblico: penso che i tifosi europei siano molto simili a quelli che si incontrano nell’NCAA: sono rumorosi e casinisti, più coinvolti e affezionati alla propria squadra. Durante le partite la loro presenza, specialmente in Italia, si sente perché riescono a trasmettere grande energia a noi giocatori. In NBA invece il rapporto con i fans è molto più distaccato e, in realtà, non sono altro che semplici spettatori che, primariamente, affollano i palazzi dello sport per vedere un bello spettacolo. Detto questo non nego che il fatto che mi trovi così bene qui a Varese dipende anche dai tifosi. A Masnago si respira un’atmosfera bellissima e per quello che ho potuto vedere finora ritengo che la passione dei varesini sia qualcosa di unico. Inimitabile. Invece, parlando di pallacanestro, penso che il basket italiano ed europeo costituisca una sorta di pianeta situato a metà tra il basket universitario e quello dei professionisti NBA. Il basket dei Pro in stagione regolare concede molte pause, mentre qui si gioca sempre duro fisicamente ed dal punto di vista mentale. Il grandissimo gap che divide il basket italiano da quello NBA è legato allo strapotere atletico dei Pro ed una cosa è sicura: negli USA se non sei un super atleta non puoi nemmeno scendere in campo. Infine, dal punto di vista tattico qui in Italia si punta tantissimo sul lavoro di squadra, mentre in America ci si concentra maggiormente sul lavoro individuale».

Openjobmetis: quale è il compagno di squadra più simpatico?
«Tutti sono davvero simpatici, ma chi li batte tutti è Okoye: Stanley ha la capacità di trasmettere allegria e far ridere tutto il gruppo».

Openjobmetis Varese-Reggio Emilia. Rautins esulta dopo una triplaMettiamo un attimo da parte il basket. Quali difficoltà hai incontrato quando sei arrivato qui?
«Non ho incontrato grandi difficoltà ma, del resto, questa per me è la terza stagione in Europa e, ormai, penso di aver acquisito un certo spirito di adattamento alle diverse abitudini europee».

Le prime parole che hai imparato in italiano?
«Beh, a parte le classiche “bad words”, le prime che impari in ogni paese, sono state “Ciao, ci vediamo domani”, che uso quando vado al ristorante. Mi piace come suona questa frase».

Invece in che lingua parli sul campo di gioco?
«Una lingua-mix: con i compagni americani parlo inglese, mentre con quelli italiani mi sforzo di parlare nella vostra lingua anche se non è facile. Sto cercando di impararlo: ho addirittura un’app sul telefonino. Per me imparare una nuova lingua significa muovermi meglio non solo all’interno della squadra, ma anche nella nuova realtà e capire meglio la cultura con cui ho a che fare. Ma una cosa è sicura: in italiano sono ancora scarso e devo fare più pratica!»

E’ vero che sei il single più bello ed ambito, dell’Openjobmetis?
«Più bello indubbiamente -scherza Andy-, ma non single: sono fidanzato e la mia ragazza adesso è negli USA e purtroppo non riuscirò a vederla nemmeno in questo periodo di vacanze natalizie. Insomma: non vedo l’ora di riabbracciarla».

Dove vivi quando torni in America?
«Prima vivevo a New York, ma da un paio d’anni mi sono trasferito a Chicago per stare più vicino a mio fratello che vive lì. Mi piace trascorrere l’estate perché la città è bellissima, vivace e vitale e nella “Chicago Area” puoi divertirti e fare moltissime attività in tutti i momenti dell’anno».

Tornando al basket: quale il tuo bilancio dopo quattro mesi?
«Abbiamo avuto un rendimento decisamente altalenante e infortuni ed episodi non esattamente favorevoli hanno inciso non poco. Così, il bilancio numerico è solo sufficiente, mentre avrebbe potuto essere più che buono. Invece, nel momento migliore, quello in cui avremmo potuto cambiare passo, abbiamo perso Kangur e accusato tantissimi acciacchi fisici. Ma la via d’uscita per diventare una squadra più unita è una sola: allenarsi e poi ancora allenarsi. A lungo e tutti quanti insieme».

Che aspettative hai sulla stagione?
«Il mio, anzi, il nostro obiettivo è sicuramente quello di fare i playoff. Aggiungo: abbiamo il talento e la determinazione per arrivare al traguardo e sbagliano tutti quelli che, in questo momento, ci stanno chiudendo le porte in faccia».

Intanto, dovrete sprangare le porte sul muso di Pistoia
«In casa abbiamo già perso, anzi, regalato troppi punti. Quindi, dopo due sconfitte di fila, contro Pistoia dobbiamo riprendere a vincere. Assolutamente».

In chiusura: vuoi mandare un messaggio, in italiano, ai tuoi tifosi di Varese?
«Con il mio pessimo italiano direi loro “Grazie mille”. Grazie per il supporto e la passione che ci trasmettete: continuate così, per noi è importante sentire il vostro calore. Ed è soprattutto per voi che, a nome di tutta la squadra, mi spendo con una promessa: il girone di ritorno sarà quello del rilancio perché la gente di Varese merita molto, molto di più».

Massimo Turconi