Sette partite. Tante ne sono bastate ad Aleksa Avramovic, prima dell’esplosione all’Adriatic Arena di Pesaro (21 punti, 7/11 al tiro, canestri decisivi, occhi spiritati, carattere vincente) per mettere nero su bianco uno dei dogmi che caratterizza la gente balcanica. Il dogma in questione è quello del “nadmudrivanje suparnika”(cfr. il Maestro Sergio Tavcar), termine serbo-croato col quale si intende un concetto semplicissimo: il desiderio, quasi genetico, di essere più forte, più bravo, più astuto e, in estrema sintesi, di superare qualunque avversario.

Desiderio che Aleksa coltiva con spensierata passione fin da bambino: “Sono cresciuto avendo negli occhi le immagini dei canestri pazzeschi realizzati dal mio idolo Dejan Bodiroga durante i Mondiali di Indianapolis del 2002. Avevo otto anni e – ricorda con un sorriso compiaciuto Aleksa -, ogni giorno cercavo di imitare le prodezze prodotte da un talento assoluto come Dejan, ma soprattutto, esattamente come fece Bodiroga, giocavo per avere fra le mani le “emozioni” e le responsabilità dell’ultimo tiro. Poi, non bastasse un grandissimo campione come Bodiroga, ho avuto la fortuna di crescere avvolto dal mito di coach Zelimir Obradovic che è mio concittadino (entrambi sono di Cacak, ndr) e di vedere tantissime partite giocate dai vari Danilovic, Djordjevic e Divac. Insomma: ho sempre avuto buonissimi esempi cui ispirarmi e, in quest’ottica, la partita di Pesaro rappresenta solo la mia prima tappa in un percorso che spero possa essere molto, molto lungo”.

Cos’è successo contro la Consultinvest in quegli esaltanti minuti finali?
“Niente di particolare: sentivo che la partita stava arrivando dalla mia parte e, di più, “sentivo” e volevo la palla a tutti i costi. Così, da questo stato di trance agonistica sono sgorgati i nove punti quasi di fila per i quali devo ringraziare solo i miei compagni che hanno capito e assecondato il mio momento positivo”.

Vittoria che, sostiene qualcuno, ha avuto un effetto taumaturgico…
“A Pesaro dovevamo e volevamo vincere, ne avevamo un bisogno assoluto per dimostrare prima di tutto a noi stessi, poi ai nostri fantastici tifosi che la vera Openjobmetis non era quella vista nel corso di alcune pessime partite giocate in campionato e in coppa. Abbiamo avuto un piccolo periodo di crisi, ma già nel match contro Avellino si era capito che il nostro gruppo vedeva ormai gli spiragli di luce alla fine del tunnel. Detto questo mi limito a segnalare che si è trattato di un successo importante per ripartire e nulla di più perchè, posso garantirlo, tra noi c’è sempre stata grande coesione. Tra l’altro coesione e unità d’intenti saranno elementi fondamentali per superare le difficoltà, davvero tantissime, che ho trovato nel campionato italiano”.

Allora, meglio non parlare dei problemi innescati dalla Champions…
“Per certe figuracce rimediate in coppa non abbiamo scusanti, nè vi sono alibi validi da sventolare. Di fatto – osserva il playmaker serbo -, non abbiamo ancora trovato il giusto “passo” mentale per affrontare due competizioni così dure e ravvicinate, ma già da questa sera contro il Rosa Radom (salto a due ore 20.30, ndr) abbiamo il dovere di riscattarci. Come successo contro Pesaro siamo con le spalle al muro e, a questo punto, una nostra intensa reazione è obbligatoria e giustamente attesa dal pubblico”.

Quali sogni stai cullando e, realisticamente, per quali traguardi corri?
“Essere a Varese e giocare da protagonista in serie A è già un sogno e sto facendo di tutto per viverlo nel migliore dei modi e regalare soddisfazioni al club e ai tifosi. Poi, è chiaro, a 22 anni vedo orizzonti infiniti “griffati” NBA ed Eurolega: il mio obiettivo è arrivare a quel livello, ma sono consapevole che per approdare tra i Pro Usa o nei top-team di Eurolega devo farmi le ossa e Varese è la piazza ideale per riuscirvi”.

Se non avessi giocato a basket, che ne sarebbe stato di Avramovic?
“Sarei diventato certamente un calciatore perchè me la cavo abbastanza bene anche col pallone fra i piedi”.

In che ruolo?
“Centrocampista, anzi, regista-playmaker offensivo. Insomma: un classico numero 10 come Totti, il mio idolo calcistico”.
Detta in breve, questione di numeri: 4 come quello che Bodiroga vestiva con la Nazionale serba e 10, quello che, forse, un giorno molto lontano, il buon Daniele Cavaliero gli regalerà…

Massimo Turconi