Chi ha dei sogni? Tutti noi. Quello del giovane Chris Wright, una volta uscito da Georgetown, era quello di giocare in NBA. Ma un anno dopo, sarebbe stato – semplicemente – di giocare a pallacanestro come tutti gli altri. Chris lunedì arriverà a Varese, e sarà l’ultimo acquisto per coach Moretti. Il giocatore del 1989 è un ottimo playmaker, ma forse quello che non tutti sanno è che la sua storia è davvero incredibile. Facciamo un passo indietro, all’inizio del 2011. Wright finisce il college e si dichiara eleggibile per il Draft, ma non viene scelto da nessuno. Talentuoso, ma troppo “undersized” per i pari ruolo NBA, dicevano. E dire che sarebbe stata solo la prima di tantissime bocciature, ma lui ancora non lo sapeva. E per seguire il suo sogno decide di mettersi in gioco nel campionato turco, nell’Olin Edirne. Va tutto alla grande, e alla sua prima stagione registra 12 punti e 4 assist di media. Mica male, per un rookie. Ma in un pomeriggio di marzo – nel 2012 – tutto cambia. La squadra di Wright sta effettuando le solite ripetute al termine dell’allenamento, quando ad un certo punto cade a terra all’improvviso: il piede aveva ceduto. “Non ci feci caso – disse poi -, pensavo di essere inciampato e che fosse solo qualcosa di stupido”. Era sì inciampato, ma in qualcosa di molto più grande, che lì per lì aveva sottovalutato. Infatti Wright si riprese quasi subito e andò a letto tranquillo. Al risveglio, una sensazione assurda: nella notte aveva perso la sensibilità della mano destra, del braccio destro e infine di tutta la gamba destra. Viene portato subito all’ospedale di Istanbul, dove fa la conoscenza dell’ospite con cui avrebbe dovuto condividere il resto della sua vita: aveva la sclerosi multipla. “Ma non sapevo cosa fosse – confessò -, lì per lì pensavo solo a come fare per andare avanti e riprendere a giocare”. La sclerosi multipla (d’ora in poi sm) è una malattia autoimmune cronica che colpisce il chris wrightsistema nervoso centrale, con uno spettro molto ampio di sintomi a cui si può andare incontro. Ad esempio, quello che gli era successo in palestra durante le ripetute.

All’inizio – anche perché sia Chris che il suo agente non sapevano come comportarsi davanti a questa malattia– nessuno seppe della diagnosi. Solo la famiglia, gli amici più stretti e qualche compagno di squadra. Poi un pomeriggio uscì un articolo su eurobasket.com che mise a nudo il segreto di Wright e complicò non poco la sua vita, perché di fatto disse che la sua carriera era finita. Il guaio è che lo pensavano tutti: la sm causa affaticamento, intorpidimento degli arti e problemi con coordinazione ed equilibrio. Intanto, lui continuava a leggere su internet che non ce l’avrebbe fatta, ma non ci voleva credere. Il basket era la sua vita: “Quando finalmente capii bene cosa avevo, pensavo ad una sola cosa: come potevo fare per battere il mio male ed andare avanti. Anche perché non sapevo cosa comportasse per un atleta professionista”. Allora Chris decide di tornare negli USA per curarsi, ma i primi specialisti che interpellò erano tutti d’accordo. “La tua carriera è finita”, dicevano. Ma Chris non ci credeva, e così di lì a poco fece l’incontro che svoltò la sua vita. L’angelo mandato dal destino per lui aveva il volto e il nome di Heidi Crayton, direttore del centro sm di Washington, che decide di prendere a cuore il suo caso. Per lei non è come per tutti gli altri: dice che Wright può avere una carriera normalissima nel mondo del basket. Il cestista le crede e iniziano un percorso insieme fatto di cure e fiducia reciproca. A Wright viene iniettato una volta al mese del tysabri, una sostanza molto forte che “lotta” contro la sm, trattamento che dovrà osservare per tutta la vita. Le iniezioni durano due ore, il giorno dopo le quali osserva 24 ore di riposo. Poi, è il solito atleta che conoscono tutti. Per la Crayton ci sono molti stereotipi sulla sm: tanti pensano sia un disturbo che inevitabilmente ti impedisce di vivere. Chi non è familiare con questa tipologia di disturbo la confonde con le distrofie muscolari, che possono evolvere e peggiorare molto più rapidamente. Stereotipi che non hanno aiutato Wright, anche se con le cure della Crayton a Chris non capitò più nessun episodio grave. Infatti aveva delle richieste chris wrightper la Summer League 2012, ma tutti si sono tirati indietro all’ultimo momento una volta saputo del suo disturbo.

A puntare su di lui allora è inaspettatamente il gm degli Iowa Energy, una squadra di D-League: Chris Makris. Quest’ultimo parla al telefono con l’agente di Wright ed è l’unico a non spaventarsi: a novembre firma per gli Iowa Energy. In quel momento l’obiettivo di Chris è chiaro: giocare in NBA. Un giorno Wright guardò la sua dottoressa e disse: “Conosci cestisti NBA con la sm?”. “No”, rispose lei. “Ecco, quello è il mio scopo”, concluse un sorridente Chris. Infatti, ad oggi non ci sono mai stati altri giocatori con la sm nella lega statunitense, o almeno nessuno è mai uscito allo scoperto. Nel frattempo, anche il portiere dei Minnesota Wild, Josh Harding, rivela che ha lo stesso problema di Wright, e la Crayton li mise in contatto. Fra i due nasce così un’amicizia che dura ancora oggi. Dopo 5 mesi agli Iowa chris wrightEnergy, Wright è una star. Viene selezionato nel roster All-Star della D-League e sembra che l’America sia pronta ad accorgersi di lui. Chris ha dimostrato che si può convivere con la sm ed addirittura eccellere in uno sport a livello professionistico.

Il 13 marzo 2013 – un anno dopo la scoperta della sm – i Dallas Mavericks gli fanno firmare un contratto di 10 giorni. Il sogno di Wright si è avverato: giocherà in NBA. Scende in campo solo tre volte, e il 15 marzo scrive la storia, quando contro i Cavs scocca il tiro che diventerà l’unico canestro realizzato da un giocatore con la sm. Purtroppo per lui rimarranno gli unici due punti segnati in NBA, perché Dallas non rinnova il decadale, col risultato che Wright fa ritorno in Iowa per poi passare all’Arecibo (Porto Rico). D’estate ad attenderlo c’è la Summer League, e questa volta non è come l’anno precedente: Chris gioca prima con i Brooklyn Nets e poi con i San Antonio Spurs. La sua malattia non fa più paura a nessuno, men che meno a lui: ogni sei mesi torna dalla sua dottoressa che ogni volta lo trova in gran forma. Con la Crayton è ospite dell’MS Basketball Jamboree, un evento di sensibilizzazione sul tema al termine del quale le vecchie glorie della Georgetown si sfidano. Inoltre, ha anche avviato una fondazione tutta sua. E intanto nasce Chris jr., frutto del suo amore con la compagna Erin, e ora ha tre anni. Il resto è storia: prima l’avventura in Francia all’ASVEL, la Summer League con Denver, il ritorno in Iowa e poi ancora D-League con i Bakersfield Jam. Prima del suo arrivo a Pesaro a gennaio dell’anno scorso, quando ha trascinato i marchigiani alla salvezza. Prima della firma con Varese ha giocato in Israele, dove si è fermato per un problema al piede. Un banale infortunio che non ha nulla a che vedere con la sm. Sul giocatore si può dire di tutto, ma l’uomo ha vinto. Chris ha trionfato nella sua battaglia, dimostrando che nessun sogno è davvero impossibile.
“Questo problema dà un senso alla mia vita. È come se Qualcuno mi avesse indicato un tragitto che devo percorrere con la mia famiglia”. E questo tragitto ora l’ha portato a Varese. Benvenuto Chris.

Luca Mastrorilli