
Il biglietto da visita di Michele Ferri sono le 110 presenze in Serie A, con le maglie di Palermo, Sampdoria e Atalanta, e le 128 in Serie B giocate indossando le casacche di Triestina, Vicenza, Trapani e Pro Vercelli. Anche con Palermo e Atalanta ha giocato nella serie cadetta vincendo il campionato e conquistando la massima serie. «Il direttore sportivo Merlin mi ha cercato appena conclusa la stagione scorsa alla Pro Patria, quando ha saputo che non sarei rimasto a Busto. I dirigenti mi hanno fatto sentire da subito importante – ci racconta il difensore centrale -, un punto di riferimento, e ho deciso di venire qui in un attimo. Varese è una piazza importante e nessuno mai la rifiuterebbe. Solo felice e orgoglioso di poter indossare questa maglia».
In questa intervista/racconto, il centrale difensivo, nato aBusto Arsizio il 29 maggio del 1981 che dagli occhi lascia trasparire la gioia e la passione che ci mette nel giocare a calcio, parte a razzo. «Ho avuto la fortuna, e ce l’ho ancora, di poter fare della mia passione un lavoro. Giocare a calcio è quello che più mi piace fare e ogni giorno ci metto l’entusiasmo come se fosse il primo, nell’indossare le scarpe e iniziare a correre dietro ad un pallone mi sento un ragazzino».
Tante piazze importanti ti hanno visto protagonista. Qual è la tappa più significativa della tua carriera?
«Sono stato bene ovunque e ho dei bei ricordi di tutte le squadre in cui ho giocato. I campionati vinti a Palermo e Bergano (dalla B alla A ndr) hanno un sapore particolare. Se ti devo dire una città ti dico Palermo, lì ho conosciuto mia moglie».
Sposato con Aurora avete due figli, quanto è importante la famiglia? «Più che importante direi fondamentale. E’ la mia gioia e il mio rifugio nei momenti di difficoltà. Martina, nove anni, e Niccolò, di cinque, sono le cose migliori che abbiamo fatto nella nostra vita. La bimba pratica pattinaggio inline, il maschietto invece prova a giocare a calcio, ma, per mio grande dispiacere, non è che ne vada matto. Non lo vedo molto entusiasta. Se diventerà o meno un calciatore lo vedremo».
Arrivato a 35 anni, hai già pensato al dopo calcio?
«Mi piacerebbe restare in questo mondo, vorrei provare ad allenare. Non so ancora dirti se i giovani o le prime squadre. Penso che per poter far bene un lavoro devi fare diverse esperienze, quindi partirei dai ragazzi. Sono già in possesso del patentino Uefa B… vedremo».
Nella tua lunga carriera c’è qualcosa che non rifaresti?
«Nel gennaio del 2009 ho rifiutato il rinnovo con il Cagliari dopo tre anni passati a giocare in Sardegna. Cellino me la fece pagare lasciandomi sei mesi ai box. Ero stanco, i tre anni precedenti li avevo passati a Palermo, un’altra isola, volevo avvicinarmi a casa. Forse, con il senno di poi, avrei fatto meglio ad accettare e poi a valutare».
Torniamo al Varese, a tuo avviso quest’anno dove può arrivare la squadra?
«La nostra dirigenza non ha mai nascosto l’obiettivo e con noi della squadra è sempre stata molto chiara: siamo chiamati a vincere. Una piazza come quella di Varese merita sicuramente il professionismo e noi ce la stiamo mettendo tutta per riuscire ad arrivarci. Non è facile, nel girone ci sono almeno altre tre/quattro pretendenti al titolo che possono dire la loro, ci proveremo sino alla fine».
Michele Marocco