Le sconfitte fanno parte del calcio. Vanno accettate. Le figure di niente no. Meglio evitarle. E quella di ieri a Pordenone è stata una clamorosa figura di niente. Di quelle crude e senza attenuanti. Se non (forse) quelle generiche. Meglio dirselo senza reticenze. Tanto, la realtà è sotto gli occhi di tutti.
La Pro Patria caratteriale che tra novembre e dicembre aveva fatto credere di poter riaprire la corsa salvezza è solo un ricordo. Lontano e pallidissimo. Già perché quella squadra (crediamo) una bambola come quella del “Bottecchia” non l’avrebbe rimediata. Almeno le apparenze (probabilmente) sarebbe riuscita a salvarle.
Quella attuale, invece, è solo una versione aspirazionista. Vorrei ma non posso. E, soprattutto, non me la caccio più di tanto. Hai voglia a raccontare che “daremo sempre il mille per mille” (Pala alla vigilia) o che “ci arrenderemo solo quando lo dirà la matematica” (Pià il giorno prima) o ancora che “sono convinto che faremo una grande partita” (sempre Pala, sempre la vigilia). Sul campo poi, i fatti dicono ben altro. E dei fatti ci fidiamo. Delle parole un po’ meno.
Di chiacchiericcio (sportivamente parlando) si muore. Come di troppo tatticismo. Uno dei mali che hanno provocato l’attuale crisi. Che ha radici note e lontane (mancanza di preparazione, infortuni, mercato approssimativo, penalizzazione). Ma anche più recenti. E alludiamo alla superficialità con cui è stata affrontata la pausa natalizia. Si pensi alla sconfitta in amichevole con l’Inveruno, alla gestione disfunzionale del mercato di gennaio e ai paradossi delle dichiarazioni. Per tutte: “Pià? Sarà pronto tra due mesi”, salvo poi ritrovarselo titolare il giorno dopo con il Renate. Perché al di là della buona prestazione con l’AlbinoLeffe, due punti in sei partite nel 2016, sono un bilancio che non necessita ulteriori sottolineature. Girato il calendario, la squadra non è stata più la stessa.
Discorso che vale alla virgola anche per l’allenatore. Complici l’eccesso di complimenti (e qui, per onestà intellettuale, ci prendiamo la nostra quota di responsabilità) e la colpevole delega in bianco concessa dai vertici societari, Pala ha smarrito quel sano pragmatismo (anche a costo di qualche ruvidezza) che aveva contraddistinto il suo avvento allo “Speroni”. Lo recuperi in fretta. Altrimenti il suo futuro (insieme a quello della squadra) andrà rivisto. Anzi, a questo proposito, forse sarebbe anche il caso di evitare di continuare a menare il torrone con quanto fosse brutta, sporca e cattiva la Pro Patria del recente passato e quanto sia virtuosa quella attuale. Se ne è già dato ampiamente atto. Ora si volti pagina e si pensi al presente. Per il futuro c’è sempre tempo.
Infine un accenno al “caso” Montini che vale più (e meglio) di ogni altro commento. Quello che (nelle intenzioni) avrebbe dovuto essere l’uomo copertina della stagione in corso è assente dal 28 novembre (0-0 interno con il Padova) a causa di una distorsione poi rivelatasi (forse) una microfrattura. Non convinto delle cure ricevute a Busto, l’attaccante frusinate ha ottenuto (con un mese abbondante di ritardo) di recuperare l’infortunio altrove. Nello specifico, a Cesenatico da dove viene annunciato il ritorno alla base da almeno due settimane. Non solo, negli ultimi giorni di mercato (dichiarazioni di Pala del 29 gennaio), sarebbe stata sondata la sua disponibilità ad un eventuale trasferimento. Ipotesi declinata dallo stesso Montini che avrebbe opposto la sua volontà (legittima) di giocarsi le sue carte ancora in biancoblu. Nel frattempo le giornate passano e i punti non arrivano. In sintesi, per quello che è uno dei principali patrimoni tecnici della società, ci si poteva aspettare una gestione più efficace? Fatta la domanda, ognuno sia dia la risposta più opportuna.
E non si dica che cerchiamo il pelo nell’uovo (rilievo fatto da Pala il 5 febbraio). Qui non c’è il pelo e tantomeno l’uovo. C’è soltanto la frittata.

Giovanni Castiglioni