La Coppa Italia come momento di pausa e riflessioni, riposo o iperattività, piazzato quasi al centro della stagione. La Coppa Italia come elemento dirimente tra un prima e un dopo. Un prima che alcune squadre vorrebbero confermare, migliorare o come nel caso dell’Openjobmetis, cancellare del tutto. Un dopo che, per tutti, indistintamente, è di solito di ambizioni e nuove, coccolate, speranze. Sul dopo della Pallacanestro Varese è davvero difficile esprimersi, ma sul prima, ovvero su ciò che è accaduto nel corso di sei mesi inconsistenti i fatti sono ormai abbastanza chiari e credo valga la pena di riassumerli. Così, a futura memoria.

Tutto prende il via nel luglio del 2016 quando nel costruire la squadra la triade Bulgheroni-Coldebella-Moretti (in ordine alfabetico) decide di puntare la maggior parte delle “fiches” sul numero 3, quello di Eric Maynor. L’idea in sé non sarebbe neanche male: affidarsi, anzi, mettersi completamente nelle mani di un giocatore di talento, già visto e apprezzato sulla piazza varesina, noto per essere un validissimo costruttore di gioco in grado, eventualmente, di produrre canestri e situazioni offensive anche in proprio.

L’idea di base in sé potrebbe anche funzionare, seppur con molti se, parecchi ma e alcuni distinguo. Quali? Beh, tanto per cominciare la consapevolezza, generale e condivisa, che Maynor, giocatore dalla scarsa efficacia difensiva, deve essere digerito e metabolizzato da un sistema capace di elevarne i pregi offensivi e nasconderne molto molto bene le lacune in retroguardia. Tanto per continuare una produzione offensiva talvolta altalenante. E, tanto per chiudere, la sensazione, offerta nel corso della sua prima esperienza varesina, che sulla stessa altalena vi siano la capacità di essere leader, la stoffa del trascinatore “h 24” e la mentalità per essere il “go to guy” nei momenti di reale bisogno.

Insomma: qualche dubbio di sostanza, mica solo forma… Dubbi che la triade ha valutato scegliendo poi di correre il rischio: contratto garantito per Maynor e tutti soddisfatti. Tuttavia, i dubbi aumentano a vista d’occhio quando si appone la firma su un contratto biennale per Kangur. Per carità, Kris è un grande professionista, ma datato e con qualche arcinoto problema di tenuta fisica sul lungo periodo.

I dubbi infine tracimano quando in un ruolo cruciale come quello dell’ala piccola si firma Chris Eyenga: anch’egli grande professionista, giocatore di riconosciuto carattere e straordinario cuore, ma con altrettanti riconosciuti limiti tecnici. Il più evidente e solare è il tiro dall’arco per il quale Eyenga, in Serie A, è da tutti abbondantemente battezzato. Non a caso ogni qual volta le formazioni avversarie si schierano a zona, sulle volte di Masnago si materializza il fantasma di “Riccardino” Kuksiks coi suoi mortiferi piazzati. Il quale, va da sé, sarebbe stato perfetto complemento per Air Congo.

Comunque, tornando di corsa al nodo della vicenda, sorrisi e speranze si spengono e i problemi si fanno strada fin da subito quando dalla scaletta dell’aereo che lo scodella a Malpensa scende un Maynor in ritardo sotto il profilo atletico. Eric infatti, reduce dal noto intervento chirurgico, è fermo da oltre nove mesi.

Di fatto, fin dai primi allenamenti, tutti quanti a Varese – dirigenti, staff tecnico, tifosi – capiscono che colui che avrebbe dovuto essere il catalizzatore del gioco Openjobmetis, l’attivatore di Anosike e Campani o Pelle nei giochi di pick and roll, il produttore di scarichi per Melvin Johnson e Kangur sul perimetro, si rivela non pronto per il compito ritagliato su misura per lui. Insomma: un giocatore magari buono, ma tutto da ricostruire in termini di presenza fisica, atletica e, soprattutto, agonistica.
Solo che i tempi stringono e c’è da preparare la qualificazione alla Coppa, manifestazione che con la sua cadenza settimanale impone “tour de force” proibitivi e “mangia” la possibilità di crescere e migliorare individualmente e collettivamente in palestra. E i malumori e il nervosismo di coach Paolo Moretti si manifestano in tempo zero. Non più trattenuti dalle frasi di circostanza.

Comunque, in qualche modo Varese riesce a qualificarsi in Europa e le discrete prestazioni offerte a Sassari e Milano e le vittorie iniziali con Caserta e Brindisi illudono. Ma la resa dei conti arriva presto. Giusto il tempo perché le avversarie in campionato crescano e le magagne biancorosse salgano a galla come gli gnocchi ben cotti. La prima sonora imbarcata, il -33 a Pistoia, fa suonare diversi campanelli d’allarme. E Varese, puntuale, inizia a pagare perché la squadra per oggettive ragioni (reattività degli esterni e peso dei lunghi) è in difficoltà nel mostrare un’anima difensiva.

In attacco, poi, con Maynor che continua a viaggiare a due cilindri, l’Openjobmetis si riscopre spesso acefala, abbandonata a se stessa, monca e senza ritmo offensivo. Come se non bastasse, in un periodaccio irto di difficoltà crescenti, Varese è costretta a contabilizzare anche l’uscita di scena di Campani (solo 7 le presenze in campionato del lungo reggiano) che accentua le incongruenze tattiche aprendo voragini di incertezza pure nel reparto lunghi. Totale generale: se la Coppa è un pianto con tutti i colori dell’iride, il campionato pare un lugubre “Requiem” con plumbee armonie mozartiane.

Così, chi siede dietro le scrivanie inizia a pensare a possibili correttivi e a farne immediatamente le spese è il povero Melvin Jonhson il quale, da “rookie” inesperto e senza sponde da parte dei veterani, cade nel suo personale baratro dal quale non riesce a rialzarsi e viene individuato come il primo anello debole della catena.

Subito dopo il carneade di VCU, “segato” agli inizi di dicembre, rotola per terra anche la testa di coach Moretti, punito dall’assenza di risultati e di reazioni. Al loro posto, in rapida successione arrivano Dominique Johnson e coach Attilio Caja. Con DJ Johnson, un buon giocatore ma non un crack, cambiano, per ora in maniera non determinante, gli equilibri perimetrali. Con Attilio Caja cambiano, e c’è da augurarsi possa cambiare sempre più in futuro, stili di lavoro e applicazione mentale in palestra. Perché il “Generale Artiglio”, da grande esperto di situazioni “no limits” ha capito certamente due cose.

Dal punto di vista mentale, in un gruppo senza leader, toccherà a lui il compito di essere il condottiero a 360 gradi: in panchina, direttamente sul parquet e anche nelle decisioni logistiche. Dal punto di vista tecnico coach Caja dovrà puntare tutto, ma tutto, tutto, sulla difesa, fase del gioco in cui, per i limiti su esposti, lo attende un incarico complicato. Anche perché, come noto, allo stato attuale (cfr. recente intervista rilasciata alla “Provincia” dal d.g. Coldebella), non c’è l’intenzione di andare sul mercato per operare ulteriori correttivi. Anche perché, se per caso si dovesse cambiare idea nel merito, non sembra ci siano i fondi per farlo.

Quindi, per concludere, da lunedì prossimo in casa contro la The Flexx Pistoia partirà la più imponente campagna di primavera mai vista nelle ultime stagioni. Può essere di conforto, nel caso, il fatto che esattamente un anno fa, era il 28 febbraio, in una situazione analoga (grave sconfitta casalinga contro Capo d’Orlando) Wright, Wayns e soci espugnarono Torino. Quindi, volendolo, il tempo per tirarsi fuori dai guai ci sarebbe ma, a naso, partendo da un solo elemento imprescindibile: Masnago.

Credo fermamente che in questo momento solo la gente di Varese, quella che è davvero visceralmente innamorata delle sua squadra, della sua storia, dell’atmosfera unica e per certi versi inimitabile che si respira al palazzetto (brividi simili sulla pelle, in tanti anni, li ho e li abbiamo sentiti solo al PalaDozza, sponda Fortitudo…), possa compiere l’ennesimo, salvifico, miracolo.

Quindi, occorre trasformare Masnago in un catino ribollente di tutto: casino, tifo, cori, striscioni e passione. Un catino in grado di intimidire gli avversari. Ho l’impressione che se salvezza sarà, avverrà solo grazie al popolo che ama la Pallacanestro Varese, che si identifica nei suoi colori e li sosterrà, senza se e senza ma, per tutti i quaranta minuti. Nello stupendo Libro delle Ecclesiaste si dice che c’è, sotto questo cielo, un tempo per tutto. Un tempo per nascere e un tempo per morire; un tempo per uccidere e uno per guarire; un tempo per piangere e uno per ridere; un tempo per demolire e un tempo per costruire. Un tempo, come hanno fatto alcuni, per dire e scrivere sciocchezze di dimensioni colossali e un tempo (cfr. il buon Damiano Franzetti) per fornire analisi lucide e, soprattutto, fatte con la schiena dritta. E, ci sarà in futuro, il tempo per rileggere e riflettere sui tanti temi di un’altra stagione tormentata.

Però, al netto di tutto, da domenica 26 febbraio fino al prossimo 7 maggio a Masnago esisterà, forte e chiaro, un solo tempo: quello per tifare Varese. In bocca al lupo, Pallacanestro Varese, il tuo lungo assedio di Leningrado sta per cominciare: uscirne vivi, tutti insieme, è doveroso…

Massimo Turconi