Ognuno di noi ha un sogno, piccolo o grande che sia, rinchiuso in quel fantomatico cassetto che spesso preferiamo non aprire. Facendo finta di essercene dimenticati. Perché abbiamo paura di fallire, perché gli altri tentano in ogni modo di dissuaderci dal farlo o anche semplicemente perché è pratica comune credere che superata una certa soglia sia meglio concentrarsi sulla realtà. Ma è proprio la possibilità di realizzare un sogno che rende la vita interessante (Paulo Cohelo).

E’ il 18 ottobre del 1998. Una domenica come tante per il calcio nostrano. Per molti ma non per tutti. Quel pomeriggio, infatti, se lo ricorderanno almeno in tre. Un tifoso del Vicenza assiepato sugli spalti del “Romeo Menti” che vide i suoi beniamini fermare sull’1-1 i campioni d’Italia della Juventus; Lamberto Zauli, centrocampista, autore del vantaggio vicentino a cui replicò poi un certo Alessandro Del Piero, dedicato alla donna che avrebbe sposato esattamente ventiquattro ore più tardi; e Giuliano Melosi, ex calciatore professionista, ora allenatore della Grumellese. Che quel giorno, all’età di trentuno anni, mise per la prima volta piede nella massima serie calcistica italiana.

NELL’OLIMPO DEL CALCIO –Ricordo bene quella partita. Un’emozione indescrivibile che porterò sempre nel cuore – racconta lui –. E’ stato il coronamento di un sogno rincorso con tutte le mie forze, fin da bambino quando giocavo all’oratorio. Avevo sempre desiderato giocare in Serie A. Devo ringraziare la passione per il calcio, trasmessami dalla mia famiglia, che mi ha permesso di arrivare fino là”. E anche se la parentesi in A fu abbastanza limitata – solo 6 presenze con la maglia del Vicenza nel girone di andata – Giuliano Melosi ha potuto comprendere senza troppe difficoltà la differenza tra quel campionato e tutti gli altri. “Si tratta di una dimensione completamente differente. Soprattutto nelle grandi squadre, ci sono dei giocatori straordinari che da soli fanno la differenza. Come Zidane, Ronaldo e molti altri”.

CROCE E DELIZIA – Le radici della sua carriera da calciatore affondano però in un altro terreno. Sempre biancorosso, ma un po’ più a nordovest. Quello di Varese dove Giuliano Melosi ha mosso i primi passi da calciatore professionista per poi tornarvi come allenatore e risollevare una Masnago colpita dal fallimento societario. “Sono molto legato alla città di Varese. Quando la società mi ha offerto il posto allenatore non ho esitato un attimo ad accettare. Nonostante dovessi scendere di categoria”. I corsari biancorossi, ripartiti dal campionato di Eccellenza nel 2015, conquistarono con largo anticipo la promozione in Serie D. Facendo terra bruciata in ogni trasferta. “Si era creato un ambiente eccezionale. I miei ragazzi hanno dato tutto per la maglia, accompagnati ogni domenica dai tifosi, che ci hanno dimostrato sempre un grande affetto. E’ stato un anno meraviglioso. Ora è tutto diverso”. Afferma con una punta di amarezza Melosi, lasciato a casa in circostanze poco chiare. “Devo dire con dispiacere che i fatti testimoniano le scelte sbagliate di allora”.

RICONOSCIMENTI – Sabato scorso Giuliano Melosi è stato insignito dalla benemerenza civica la Ciocchina consegnatagli direttamente dal sindaco di Saronno, la sua città. Che è sempre stata lontana da lui dal punto di vista sportivo. Ma se è potuto diventare un’eccellenza per il proprio paese è anche merito di un allenatore vulcanico come Alberto Malesani. “Ha sempre creduto in me – rivela Melosi –. Io sono sempre stato un giocatore di quantità e sacrificio. Lui è riuscito a tirarmi fuori anche un pizzico di qualità che mi ha permesso di arrivare dove sono arrivato”.

Altra componente essenziale nel percorso di Giuliano Melosi è la passione per uno sport a cui ha donato la vita. “Per me il calcio è tutto – conclude lui –. Senza non posso stare. E’ una sport che mi regala grandi emozioni e praticarlo mi dà una grande adrenalina. Quando resto fermo appena ho un attimo di tempo vado ancora a giocare insieme agli amici e capita pure che mi rompa qualcosa perché ormai ho cinquant’anni. Ma sopporto anche il dolore pur di giocare a calcio”.

Alessio Colombo