C’è un ricordo che, diventato “maggiorenne” proprio pochi giorni fa, risale sparato dal cuore alla mente e chiede solo di farsi largo, uscire, vestirsi di idee, colori e immaginazione.
C’è un ricordo tutto da accarezzare e coccolare che riporta tutti ad un momento irripetibile, questo è poco ma sicuro, nella nostra vita di tifosi, appassionati, simpatizzanti, amici della Pallacanestro Varese: il Mc Donald’s Open disputato al Forum di Assago il 14-15-16 ottobre 1999. I Roosters presenti e, di più, grandi protagonisti. Eccovi un piccolo resoconto di quel momento magico.

Cosa ci resterà di una settimana cestisticamente tra le più belle della nostra vita? O meglio: cosa mi resterà? “Battistianamente” rispondo: “Capire tu non puoi. Tu chiamale, se vuoi, emozioni”. Correva l’anno 1999 e noi di Varese, dopo l’incredibile, inimmaginabile scudetto conquistato nel mese di maggio, volavamo ancora altissimi sui cieli del basket e dopo aver strappato quel triangolino tricolore tutto ci sembrava fosse possibile. Così quell’edizione, l’ultima, del “Mc Donald’s Open” organizzata al Forum di Assago ci sembrava fosse solo il giusto “allenamento” per una stagione che, iniziata bene con la conquista della Super Coppa di Lega battendo la Kinder Bologna, sarebbe poi proseguita a ritmi forsennati tra Eurolega e Campionato. Così, un po’ per scherzo, un po’ no, già da qualche tempo a Varese girava una frase: “Ehi, nel mese di ottobre saranno nostri ospiti dei “ragazzotti” provenienti da San Antonio, Texas, USA. Vediamo di trattarli bene”.

Finchè, immancabile, quella settimana di ottobre arriva per davvero e non me ne vogliano le altre squadre, anche lo Zalgiris fresco, eccitante e spettacolare Campione d’Europa, noi tutti andiamo al Forum per vedere gli Spurs e la NBA. Quella vera.
Quella che in pratica requisisce un albergo top-class nel centro di Milano e, per l’ennesima volta, è pronta a mostrare al mondo, e alla sfavillante Italia del basket di quegli anni (il confronto con quella attuale mette solo profonda tristezza…) perché loro, “gli ammmerricani”, erano, e sono tuttora, giustamente considerati i numeri uno della palla a spicchi. Una conferenza stampa di presentazione a dir poco grandiosa, con tutti (sottolineo tutti…) i giocatori a disposizione per domande, foto e considerazioni su qualsivoglia argomento. Esattamente all’opposto di quanto succedeva (e purtroppo succede ancora oggi) dalle nostre parti.
Così, noi siamo tutti là, un po’ adoranti, e parecchio estaticamente imbecilli. A scrutare l’elegantissimo David “L’ammiraglio” Robinson. A rivolgere domande un po’ stucchevoli a Tim “Carribean Dream” Duncan, a Mario “Big Dog” Elie a Avery “Floor General” Johnson e via di questo passo. Consapevoli, o timorosi, che, citati senza il loro soprannome, questi grandi giocatori potessero perdere fascino, forza, autorevolezza. Tutto ci appare grande, bello maestoso. Persino esagerato. E, in effetti, è proprio così.

Poi, finiti i ricchi premi e cotillons, comincia il “Mc Donald’s” vero, quello delle partite, con i Roosters Varese che la prima serata piegano, non senza fatica, i libanesi del Sagesse. Il giorno seguente due città – Varese e Milano -, sono in fibrillazione perché al Forum sta per andare in scena la gara più attesa: quella contro gli Spurs, campioni NBA. E qui, senza farla troppo lunga, né romanzata, succede l’impensabile.
I Rooster più belli visti in tutta quella disgraziata stagione 1998-1999, in evidente e prolungata estasi cestistica, mettono a lungo alle corde i celebrati campioni texani. Varese risplende con Pozzecco che irride Avery Johnson; con Santiago che sentendo odore di NBA si trasforma e gioca con grandissima energia, con Andrea Meneghin pronto a mostrare basket da “upper class” e delizioso acume cestistico, con Zanus Fortes che si traveste da Baby Gorilla Dawkins e butta sul parquet ogni muscolo e, infine, con Vescovi che sfodera una gara memorabile tanto da far chiedere ai cronisti della NBC e TNT vicino alla mia postazione: “Who’s that marvellous veteran player?!?”. Gli stessi cronisti USA, invece, non prendono affatto bene la comparsata sul parquet del buon Guido Bagatta a cui Varese, con una scelta sorprendente, assegna una maglia per il torneo. I giornalisti USA, ma anche l’entourage degli Spurs, considerano quella mossa poca rispettosa del contesto generale e della sacralità del gioco.

Comunque, tornando alla partita, una Varese di inusitata bellezza arriva davvero ad un passo dal sogno. Addirittura sul +14 per i biancorossi c’è qualcuno tra il pubblico che alzandosi in piedi ironicamente urla: “Ditemi la verità: siamo su Scherzi a parte??”. Nessuno scherzo, invece. Varese conduce nel punteggio per oltre 35 minuti ed il match cambia repentinamente il suo senso di marcia solo quando gli Spurs prendono coscienza che una figuraccia cosmica è in arrivo. Solo in quel momento, a pochi minuti dalla fine, San Antonio alza di almeno tre spanne il livello di scontro fisico. Seguendo la classica accezione “botte e gol” e sfruttando una sostanziosa mano arbitrale gli Spurs mettono la testa avanti, chiudono sul 96-86 e battendo Varese si liberano dei fantasmi e di tutte le paure. Finalmente liberi di testa e pronti a rifilare, in finale, 35 punti ai brasiliani del Vasco da Gama.

Cosa mi resterà, dicevo, di quell’esperienza? Beh, tante cose oltre a quelle che, classicamente, appartengono al piacere-dovere del cronista. La più bella, e significativa, resta quella di poter dire: “Io c’ero. Ci sono stato. Ho visto e posso raccontarlo”. Raccontare della bella amicizia col libanese Mcanthaf, stella del Sagesse. Delle ore spese a parlare non solo di basket, ma anche della situazione che gravava la sua martoriata terra. Raccontare della simpatia trascinante del brasiliano Rogerio. Raccontare, infine, di un evento che, come accennato, proprio al Forum ha purtroppo cantato il suo malinconico “My way”. Raccontare ancora oggi, a distanza di 18 anni, di quel sipario che, dopo quelle bellissime serate vissute a metà ottobre 1999 ad Assago, è calato per sempre.
Dedicato a tutti quelli che c’erano. A quelli che, purtroppo, se lo sono perso. A tutti quelli che, forse, ne hanno solo sentito parlare.

Massimo Turconi