Parafrasando Federico Buffa, il più grande narratore contemporaneo, spesso succede ai più grandi di tutti di non potersi sporcare la mani a fare l’allenatore. Prendete Magic Johnson, ex cestista dei Lakers, che nella sua carriera sulla panchina oro viola si dovette scontrare con l’incapacità di trasferire il suo pensiero ai propri giocatori. “Io gli dicevo delle cose e loro mi guardavano straniti” spiegava confuso il campione. Semplice: quello che vedi tu loro non lo vedono. Se non capisci perché agli altri non è chiaro quello che per te risulta lampante, la risposta sta nella fantasia. Quella caratteristica innata che ti permette di intravedere uno spiraglio di luce laddove tutti gli altri vedono il buio. Di guardare sempre il bicchiere mezzo pieno, approfittando ulteriormente di un già abusato luogo comune. E che fa la differenza nei momenti decisivi.
Chiedere conferma ad un judoka come Roberto Campi, fresco vincitore del Trofeo Sananku di Bergamo, lo scorso 4 novembre, nella categoria U90. Che fa della costanza la sua cifra stilistica, ma riconosce l’importanza della creatività in uno sport, il judo, che più di ogni altro si avvicina all’ambito artistico.

DI AMICO IN AMICO – La sua storia prende le mosse da una situazione molto comune: un amico che trascina un altro amico alla scoperta di un nuovo modo, quello delle arti marziali, in particolare del judo. “Non saprei dare una spiegazione esauriente riguardo le motivazioni che mi hanno fatto innamorare di questo sport. Probabilmente non esiste – racconta Roberto –. Ho iniziato nel 2006 in una palestra Cugliate Fabiasco insieme a Silvio Phurter il mio primo maestro. Sono stato lì due anni poi sono trasferito a Varese alla Robur et Fides, sotto Marco Ghiringhelli da gennaio 2009. Da lì ho cominciato ad allenarmi in maniera costante. Mi attrae di questo sport la possibilità di confronto con l’avversario”.

ORGOGLIO – Come in tutte le storie anche in quella di Roberto c’è un momento cardine che si divide tra ricordo e desiderio. Un istante abbastanza recente di quelli che ti riempiono gli occhi e il sorriso di orgoglio e ammirazione: “Ci sono molti momenti che porterò con me legati a questo sport – rivela lui–. Due settimane ho gareggiato insieme a due mie amici con cui sono cresciuto dal punto di vista sportivo e non. Loro hanno chiuso la carriera e io un capitolo della mia vita. Spero un giorno di poter concludere nello stesso modo. Insieme alle persone che amo”.

TRA SOGNO E REALTA’ – Ma a 26 anni sembra ancora presto per pensare ad un epilogo. “Vorrei vincere gli assoluti. E ovviamente nel mio cassetto c’è un sogno che si chiama olimpiadi. Mi rendo conto che per l’età che ho è quasi impossibile. Ci sono molti giovani straordinari che stanno facendo il percorso olimpico, che forse io avrei dovuto fare tempo fa. Come Nicolas Mongai, uno dei migliori talenti a livello italiano. Nonostante tutto vado avanti con la stessa passione di sempre, conciliando sport e lavoro, e senza pormi mai limiti”.

FANTASIA – Idolo inaspettato del nostro personaggio è Alessandro Del Piero: il classico campione dalla faccia pulita. Che Roberto in qualche modo rispecchia con la costanza, il lavoro quotidiano, e la serietà che mette nel praticare il proprio sport. Ma se in tutto ciò non vi è almeno un pizzico di imprevisto, intuizione, rischio difficilmente si raggiungerà la vittoria. “In uno sport come il mio se hai della fantasia riesci sempre a trovare delle soluzioni nuove che possono permetterti di superare una situazione molto complicata – spiega Roberto –. Ricordo ancora l’exploit di Fabio Basile alle olimpiadi di Rio 2016. Nella finale è stato eccezionale. Con coraggio, ma soprattutto estro è riuscito a mettere ko l’avversario in un istante con un ippon”.

Quel ragazzino che una decina di anni fa si affacciava alle porte del judo, oggi è cresciuto: è un uomo. E se lo è lo deve anche al suo sport: “Credo che il judo sia una disciplina molto ampia che ti fa crescere, andando oltre il puro sport. Forse non troppo apprezzata perché ricca di momenti noiosi in cui si prepara il combattimento che spesso dura veramente poco. Sono entrato a far parte di una palestra che è diventata una vera famiglia. Inizialmente mi isolavo spesso. Ero asociale anche per via di alcuni problemi familiari. Facevo molta fatica a relazionarmi con le persone. Il judo mi ha aiutato a vivere a contatto con gli altri. Ora sono più sicuro di me stesso ed affronto la vita in modo diverso”.

Alessio Colombo