Come definire, se non come una pagliacciata finale, la scelta di esonerare l’allenatore che, dopo una serie infinita di anni al settore giovanile, non ha mollato di fronte a 6 mesi di stipendi non pagati, nel bel mezzo di una società assente, ma in realtà molto presente e operativa, e circondato dai veleni di chi si sentiva dirigente quando non era niente. Uno dei pochi allenatori al mondo che, nel bene o nel male, con pregi o difetti, a differenza di molti altri suoi colleghi, alcuni passati a Varese anche molto recentemente, non si è mai permesso di puntare il dito contro gli errori di chi è sceso in campo, ha sempre difeso lo spogliatoio, non si è mai pronunciato sull’assurdità che lo circondava e non ha mai giudicato il lavoro altrui, ci riferiamo al nostro in questo caso, alle nostre pagelle talvolta infelici (qualche protagonista non si è fatto remore nel farcelo sapere), alle nostre analisi di scelte di formazione e partite a volte dure. Mai una parola fuori posto, e quest’anno ce ne siamo beccati parecchie manco fossimo parenti stretti di chi si è permesso di alzare la voce con noi che facciamo semplicemente il nostro lavoro e non è che ci divertiamo. Sinceramente, cari miei, dovreste vergognarvi. Attenzione: questa non è una difesa a spada tratta nei confronti di Paolo Tresoldi, ma una critica aperta alla decisione di cacciare un allenatore appena due giorni prima della partita che vale la vita. Di comunicarlo venerdì sera dopo che, attenzione, un paio di giorni prima è stato chiesto di anticipare la partita di una settimana. Già, non è stato l’OltrepoVoghera, bensí il Varese stesso a chiedere di giocare prima nonostante la squadra mezza zoppa. Un’altra decisione clamorosa presa perché la scadenza dell’acquisizione societaria è stata fissata al 15 maggio. Non bastava spostare quella di data, scelta evidentemente da chi manco sapeva che i playout si giocavano il 20?

Se queste sono le premesse di Berni, o di chi per lui che non si è ancora capito, siamo a cavallo. La panchina di Tresoldi scricchiolava da tempo, è vero, e lui stesso ne era consapevole. Da un lato c’era chi voleva cacciarlo perché non promuoveva la linea verde e non buttava dentro gli Juniores, dall’altro chi non apprezzava le scelte di non far giocare i suoi giocatori, manco fossero arrivati i Cristiano Ronaldo. Ma mandarlo via due giorni prima della fine perché 5/6 ragazzi dello spogliatoio (sicuramente chi non ha giocato) non lo “vedevano” più è l’assurdo dell’assurdo, se questo è il motivo. Per dare in mano la squadra al direttore sportivo, spesso espulso dalla panchina, che non ha mai avuto carta bianca e ha sempre dovuto dare un colpo al cerchio e uno alla botte. Noi al suo posto ce ne saremo andati da tempo. Ma d’altronde un ciclo che inizia con la conferma e l’esonero di un mister (Melosi) prima ancora di iniziare il campionato, con il ds in quel momento assente e inconsapevole, non poteva che finire cosí. Speriamo che questa scelta abbia chiuso il cerchio e sia la pagliacciata finale perché qua il fondo si è toccato da tempo e da allora si continua a scavare. Semmai dovesse riuscire a salvarsi non sarà grazie a questa decisione.

Indipendentemente dall’acquisizione societaria e dalla sfida playout, questo Varese ha fallito in tutto. È stata una gestione vergognosa eppure chi ne è stato l’artefice ha ancora qualcosa da ridire nei nostri riguardi, anziché andarsi a nascondere dalla vergogna e tacere per sempre. Una nota a margine: non so a voi, ma a noi non piace chi ci minaccia, non piace la gente che picchia (al Varese è successo anche questo) e non ci fa paura chi  vuole dettar legge. I nostri colori sono biancorossi e Varese Sport esiste dal lontano 1979. Di gente ne abbiamo vista passare parecchia e noi siamo ancora qua.

Elisa Cascioli