Luci a Monaco. Di Baviera. Che c’è di strano, siamo stati tutti là. Beh, quasi tutti. Comunque in tanti. Tantissimi. Corre l’anno 1978. Il 6 aprile ’78, per l’esattezza. Nella città più importante della Baviera si gioca la Finale di Coppa dei Campioni. Ma, di più, si gioca l’ennesimo episodio della saga tra Pallacanestro Varese e Real Madrid. In questi giorni ricorre il quarantennale di quella partita ed il vostro umile cronista, allora ragazzino tifosissimo della mitica MobilGirgi, ovviamente presente alla trasferta teutonica, prova a ripercorrere, con l’aiuto di alcuni protagonisti, i ricordi e i momenti salienti di una gara, anzi, diciamola tutta, di una sconfitta che a distanza di tanto tempo rappresenta una ferita ancora aperta.

IWAN BISSONIWAN BISSON (ala MobilGirgi Varese) – “Che ricordi ho di quella partita? Semplice: penso sia stata una delle più brutte gare mai giocate dal nostro gruppo e, purtroppo, ancora oggi non riesco a trovare un perchè, una motivazione, a quella prestazione così scadente. E inattesa perchè solo qualche giorno prima dell’appuntamento di Monaco avevamo espugnato il parquet della Virtus Bologna giocando alla grande. Col senno di poi dico che forse arrivammo alla Finale troppo sicuri della nostra superiorità. Troppo convinti di poter vincere e coach Nico Messina, un bravo tecnico ma con poca esperienza di gare di quell’importanza, non riuscì a scuoterci. Probabilmente quella sera avremmo avuto bisogno del classico “sergente di ferro”. Del coach che con tre urlacci e un paio di cazzotti tirati sul lettino dello spogliatoio fosse in grado di svegliarci dal torpore e dal “dolce veleno” della sicumera. Perchè fu proprio quella sbagliata sensazione di sicurezza a fregarci. Anzi, aggiungo, ad aumentare la sensazione che tutto sarebbe filato via tranquillamente come una formalità ci fu la presenza di Dino Meneghin”.
Come sarebbe a dire “la presenza” di SuperDino?
“Spiego: negli ultimi minuti della partita di Bologna Dino si procurò una distorsione molto seria alla caviglia e tutta la squadra andò in fibrillazione pensando ad un’altra finale giocata senza il Menego o con lui in condizioni fisiche incerte. Invece, lo staff medico-sanitario fece il miracolo rimettendo Dino in piedi a tempo di record. Così, con il nostro “Totem” in campo ognuno di noi inconsciamente pensò: “Ok, questa volta è fatta. La Coppa dei Campioni, dopo la tremenda delusione provata a Belgrado dodici mesi prima, non ce la leva più nessuno!”. Invece, ecco il paradosso, Dino acciaccato fu l’unico, insieme a Charly Yelverton, a mettere insieme una partita apprezzabile e ricca di concretezza. Noi altri, chi più, chi meno, toppammo la partita e la Coppa prese la strada di Madrid”.

SANDRO GALLEANI (trainer MobilGirgi Varese) – “La cosa più importante che ricordo di quella triste serata a Monaco non è un’immagine, una fotografia, un gesto tecnico. E’ un suono. E’ un ossimoro: il silenzio assordante che regnava nel nostro spogliatoio. In quello stanzone, dove di solito regnavano allegria e un’atmosfera da caserma pronta alla libera uscita, dove i ragazzi facevano un casino infernale, quella sera non parlava nessuno. Nessuno faceva battute. Nessuno si esibiva nelle solite “gag”. Nessuno faceva scherzi e, impossibile da credere, mancavano anche le consuete prese per i fondelli. Insomma: un’atmosfera strana. Certamente non nostra. Non da MobilGirgi Varese. Non so spiegare il perchè di quel comportamento. Di quel brusco, repentino e maligno cambio di rotta. Ma so per certo che la Coppa iniziò a scivolare via dalle nostre mani proprio in quei momenti così carichi di misteriosa, e assolutamente non voluta, tensione. Non a caso sul campo, nonostante un paio di strappi, non riuscimmo mai a mettere davvero la nostra impronta sul match ed il Real con una gara diligente, ma non certo travolgente, ci superò due volte perchè tornò a Madrid con la sesta coppa, mentre noi ci fermammo a cinque trofei”.

ALDO OSSOLA – Playmaker MobilGirgi Varese – “Premessa: grazie ad un mio speciale meccanismo di difesa ho praticamente cancellato dalla memoria tutte le immagini delle partite perse. Questo “sistema”, come intuibile, nel corso degli anni ha funzionato a meraviglia soprattutto in occasione delle Finali che hanno avuto esito negativo. Detto questo, ho ricordi molto sfocati di quella sera, soprattutto quelli legati all’andamento della partita. Ricordo che dopo un primo tempo giocato senza infamia e senza lode (41-40 per la Girgi, ndr), nella ripresa ritornammo sul parquet scarichi, stanchi,  svuotati, privi di qualsivoglia energia ed il Real, peraltro senza incantare, fece giusto qualcosa di meglio e tornò a casa con la Coppa. Però, due o tre cose le ricordo bene. La presenza “appiccicaticcia” della coppia Corbalan-Cabrera che per tutti i quaranta minuti si incollarono al sottoscritto costringendomi ad un super lavoro per portare la palla e impostare i giochi in attacco. La brutta partita giocata dal grande Bob Morse il quale, dopo centinaia di partite da “extraterrestre”, in quell’occasione si rivelò profondamente umano. Non più la macchina infallibile alla quale eravamo abituati, ma un ragazzo che, per una sera, peccato fosse quella sbagliata, era tornato tra i “normali”. Infine, questo me lo ricordo benissimo, ho in testa il viaggio di ritorno. Monaco-Varese: 500 chilometri di incazzatura feroce, percorsi in poco più di quattro ore sul filo dei 180 chilometri orari con mia moglie Luisella silenziosamente terrorizzata”.

CARLO COLOMBO – Assistente allenatore di coach Nico Messina – “Il primo ricordo di quella finalissima è relativo alla difficoltà che incontrammo nel preparare la trasferta. I ragazzi, ad aprile, dopo una stagione che cominciava a pesare nelle gambe e nella testa, non se la sentirono di partire per Monaco con qualche giorno d’anticipo. Opzione che, invece, ci avrebbe aiutato a provare il campo e ad entrare con la testa più pronta nel clima della gara. Se non ricordo male i ragazzi chiesero e ottennero di partire il martedì pomeriggio, così provammo il campo e i canestri solo il mercoledì, in una frettolosa seduta d’allenamento, peraltro svolta senza troppa convinzione. Quello fu il primo errore di strategia perchè in alcuni punti del parquet del palazzo dello sport di Monaco la palla rimbalzava male o non rimbalzava affatto ed il Real, che al contrario su quel legno si allenò almeno quattro volte, lucrò su questo aspetto pressando ferocemente Aldino Ossola per tutti i quaranta minuti e noi facemmo davvero tanta fatica per portare la palla dalla fase difensiva a quella offensiva. In questo senso, porto dentro di me il rammarico di non aver suggerito al “Prof” Messina l’assetto con tre piccoli: quindi Ossola, Rusconi e Yelverton in campo contemporaneamente. Mossa che forse avrebbe tolto pressione dalle spalle di Ossola dandoci maggior velocità di esecuzione. Poi, altro rammarico, è legato al non aver trovato, nel secondo tempo, soluzioni adeguate per liberare Bob Morse dalla snervante marcatura di Prada. Il giovane spagnolo, come si usa dire, seguì Bob perfino in bagno e noi, vuoi perchè poco brillanti, vuoi perchè in costante ritardo di qualche centesimo di secondo, non riuscimmo mai a creare le miglior condizioni per permettere all’immenso Bob di scoccare il suo tiro in assoluta libertà.
Infine, e sono totalmente d’accordo con il buon Sandrino Galleani, la partita iniziammo a perderla in spogliatoio ancora prima del salto a due. Quando insieme a Messina entrammo in spogliatoio per la consueta riunione tecnica pre-partita ci accolse un clima glaciale. Nemmeno una battuta sarcastica nei confronti del “Tigre” (soprannome di Messina, ndr); nemmeno un disegno scherzoso sulla lavagna del “Prof”; nemmeno un’interruzione del suo breve discorso motivazionale. Tutto strano. Tutto diverso. Tutto decisamente poco consueto. Quando uscimmo dallo spogliatoio Messina mi chiamò in disparte e mi chiese: “Ma che hanno i giocatori questa sera? C’è qualcosa che non va e questa atmosfera non mi piace”. Io pensai, senza riferirlo al Prof che, forse, senza esplicitarlo apertamente, quel gruppo sentiva di essere arrivato quasi a fine corsa e che quella finale poteva rappresentare l’ultimo appuntamento di un’epopea meravigliosa. In ogni caso, alla fine dei conti, ebbe ragione lui, il professor Messina. Qualcosa, quella maledetta serata, non girò per il verso giusto…”.

 Massimo Turconi