Tra i tanti varesini emigranti, ce n’è uno che ormai è quasi pugliese d’adozione pur avendo mantenuto intatta la propria cadenza lombarda. Stiamo parlando di Giulio Cadeo, allenatore di professione e vero appassionato di mille sport, felicemente alla Nuova Matteotti Corato dove ha seguito e segue l’organizzazione del settore giovanile e dove, da quest’anno, si cimenterà anche con la D con ovvie ambizioni. La nostra chiacchierata parte proprio dal settore giovanile.
Cosa ne pensi dell’ultima riforma dove vengono attribuiti punti se si hanno allenatori, responsabili e, insomma, uno staff dedicato al settore giovanile oltre che foresterie per poi venire premiati con incentivi in danaro?
“Penso sia una riforma molto sensata – l’incipit di Cadeo – Poi sono molto contento che nel caso specifico Varese abbia preso dei ragazzi da fuori, abbia fatto degli investimenti con anche dei preparatori specifici per il settore giovanile: questa è una cosa che in passato non era mai stata fatta a Varese. Forse perchè un tempo crescevano dei talenti direttamente nella nostra città e questo non era mai stato visto come una necessità. Comunque tutto ciò è molto positivo e sono contento che Varese sia pronta. Ora serve che la Federazione mantenga queste regole nel tempo e non lo faccia solo per 3/4 anni: per vedere i risultati ci vuole tempo e costanza”.
Al tempo stesso stiamo vivendo una invasione di stranieri nelle minors italiche.
“Posso dire che al Sud dalla D in avanti è la normalità. Vengono per cifre molto basse e in un buon 80% dei casi sono giocatori che meriterebbero di giocare in altre categorie. Come in ogni cosa, dipende da chi prendi: se ingaggi uno straniero solo per moda allora è meglio lasciar perdere. Posso citare l’esempio dell’altra squadra di Corato: l’anno scorso ha preso un lituano che vale va tranquillamente la A2. Sono a favore degli stranieri perchè sono di esempio per i più giovani: conoscono il loro corpo, si allenano magari già da mezz’ora prima dell’allenamento e, spesso, hanno un’educazione clamorosa durante l’allenamento. Se c’è da imparare dai loro atteggiamenti, perchè dire di no?”.
Hai seguito il mercato di Varese? Come la valuti?
“Mi trovo in difficoltà estrema non tanto per Varese, ma perchè oggigiorno vi è una moltitudine di giocatori da conoscere. I nomi che circolano non esagero nel dire che siano un migliaio e diventa difficile conoscerli tutti e parametrare i loro valori.basta dire che vi sono ex sconosciuti che magari firmano in Nba, per cui è diventato difficile giudicare ad agosto”.
E’ l’estate della polemica sui calendari e delle partite giocate nel giorno di Natale. La tua opinione?
“Stiamo cercando di copiare la Nba che ha una tradizione e una cultura immensa. Bisogna pensare che ogni Paese ha la sua cultura e ci vuole tempo perchè qualcosa possa radicarsi. Detto ciò, da professionista non mi è mai cambiato molto sul giorno o gli orari delle partite. E’ il mio lavoro e lo devo fare. D’altronde, e lo dico con massimo rispetto per la categoria, ci sono anche gli autisti dei mezzi pubblici che a Natale lavorano. Bisogna capire se in queste gare ci sarà affluenza ai palazzi e visibilità al sistema basket: ma ci vorrà del tempo per capire gli eventuali ritorni”.
Raccontaci un aneddoto dei tuoi anni in Pallacanestro Varese.
“Guarda, mi viene da pensare a Pila dove c’è Dodo coi ragazzi ad allenarsi. Ai nostri tempi Pila è sempre stata vista dai ragazzi come un posto di “disperazione”: niente palla, niente basket, solo corsa e montagne. Nel 2001/02 (anno iniziato con Sacco in panchina, ndr) dovevamo riprendere Arjian Komazec ed era praticamente pronto il contratto per la firma. Unica conditio sine qua non era che Arjian si presentasse con la squadra sin dal ritiro di Pila: ebbene, saltò tutto perchè Komazec non venne a Pila…Ma a Pila c’era anche un momento di svago: un giorno a settimana si mangiava in alpeggio in alta quota e lì era permesso tutto. il irentro avveniva alla sera con le luci dei telefonini a illuminarci la strada…”.

Matteo Gallo