Nel mondo del calcio dilettante non è più una novità riscontrare la presenza di figure femminili che, ricoprendo differenti ruoli, sono protagoniste e contribuiscono, con il loro impegno e competenza, allo svolgimento dell’attività nelle singole società sportive. Conosciamo oggi Paola Chetoni, attuale Direttore generale della Vergherese, una delle pioniere che ha segnato il solco lungo il quale altre donne hanno cominciato a ricoprire ruoli di responsabilità all’interno del panorama calcistico nostrano.

Come inizia il suo percorso all’interno del mondo del calcio?
“Come mamma che accompagnava il proprio bambino all’allenamento. Siamo di Gallarate e mio figlio giocava nel Torino Club. Da quell’inizio, che appartiene all’esperienza di tutti i genitori che hanno figli che praticano sport, ho cominciato a seguire la squadra di mio figlio con il ruolo di dirigente accompagnatore. Lì ha preso il via il mio percorso di dirigente, fatto di frequentazione di corsi Figc e soprattutto di esperienza sul campo che mi ha portato a diventare un consigliere della società granata, quindi con responsabilità di direzione. Si parla di un’esperienza durata un decennio, durante la quale ho fatto crescere altre due donne, mamme e appassionate come me, aprendo un po’ la strada all’ingresso delle figure femminili nelle società calcistiche del nostro territorio. Ora sono stata chiamata alla Vergherese con l’obiettivo di elevare il livello dell’attività calcistica: quella attuale è la mia quinta stagione”.

Cosa l’ha mossa a intraprendere questo percorso nell’ambito dirigenziale?
“Mi piaceva stare con i ragazzi, accompagnarli nel loro percorso di crescita. Nella mia famiglia si è sempre respirato e vissuto lo sport, in particolare il calcio. Mio padre è stato giocatore e poi allenatore del Pontedera e altri miei parenti hanno svolto attività sportiva. Sono cresciuta in una famiglia con una cultura sportiva alla quale ho affiancato le mie capacità organizzative, che sono una delle mie attitudini caratteriali accresciute dalla mie esperienza professionale”.

Come è stata accolta e come si trova in un ambiente a larga maggioranza maschile?
“Devo dire che mi trovo molto bene a collaborare con gli uomini, ne apprezzo la schiettezza nei rapporti. Noi donne siamo un po’ più complicate. Nei miei inizi, comunque, ho dovuto fare i conti con un po’ di scetticismo e ostilità, scemate con l’evidenza dei fatti”.

Cosa può dare una donna nella direzione di una società calcistica dilettante?
“La nostra maggiore sensibilità facilità alcuni aspetti relazionali tra i ragazzi e all’allenatore e anche tra i ragazzi e i bambini stessi. Poi c’è la nostra capacità organizzativa che tutte le donne sono portate a sviluppare dovendo mandare avanti l’ambito familiare, la cura della casa e, spesso, l’attività lavorativa”.

Quale caratteristiche deve possedere un bravo dirigente?
“Deve possedere una visione globale del suo operato e, le dirò, questo è più facile quando non si è coinvolti emotivamente dalla presenza del proprio figlio tra i tesserati. La visione globale comprende innanzitutto la disponibilità. La disponibilità di tempo, ma soprattutto nel mettersi al servizio degli altri. Un bravo dirigente è umile, fa sempre un passo indietro, deve saper stare dietro le quinte, perché i protagonisti sono i ragazzi. Infine deve essere corretto nei rapporti”.

Da cosa si evince il buon operato di un dirigente?
“Dal senso di appartenenza che si crea nei confronti della società da parte di tutte le persone coinvolte, dal fatto che l’attività sia ben organizzata con ruoli e responsabilità chiare e riconosciute. Anche l’attrattività e l’interesse che si sviluppa verso l’esterno è un indice che si sta operando bene. In questa stagione, a noi della Vergherese, il Novara calcio ha chiesto di affiliazione. Una grande soddisfazione e riconoscimento del nostro operato”.

Guardando al movimento del calcio giovanile in senso più ampio, quali sono gli ambiti e aspetti da migliorare?
“Purtroppo anche il calcio giovanile dilettante è diventato un business legato al premio di preparazione. Bisogna lavorare per riuscire a mantenere al centro dell’intero movimento i ragazzi e la loro crescita umana e calcistica, senza mettere davanti altre logiche di natura economica”.

A fronte della sua esperienza, quali sono i cambiamenti più rilevanti che ha potuto constatare nella gestione di una società calcistica dilettante?
“È cambiata la società, sono cambiate le famiglie. Oggi le famiglie pretendono, i genitori si sentono legittimati a entrare nel merito delle scelte tecniche sia che riguardano il proprio figlio sia quelle che interessano il gruppo squadra, senza rendersi conto che, comportandosi così, delegittimano le figure adulte della società, persone che hanno un fondamentale ruolo educativo nei confronti dei loro figli. Spesso le famiglie sono in difficoltà nel riuscire a trasmettere i valori fondamentali ai propri figli, oggi poco inclini al sacrificio e alla serietà rispetto all’impegno preso. Sotto questo punto di vista le famiglie sono molto cedevoli e noi, da soli, non possiamo colmare mancanze della prima agenzia educativa, qual è la famiglia. La speranza è che in futuro si possa rinnovare il patto educativo tra famiglia, scuola e società sportiva”.

 Marco Gasparotto