70 come gli anni, peraltro ben portati. 55, sempre di anni sto parlando, come quelli spesi, tutti, dal primo all’ultimo al servizio della Virtus Fagnano Olona12 come, a buon peso, le generazioni di cestisti passate fra le sue mani capaci.
Questi sono i numeri vincenti che caratterizzano la lunga carriera cestistica di Elio Zacchello, iconico, e peraltro unico, personaggio del club gialloblu. Il solo che dopo la recente e dolorosa scomparsa del presidente Giuseppe Stellini, e in virtù del suo esserci sempre stato, può giustamente essere considerato alla stregua di classico uomo-franchigia. Per dirla in poche parole, il simbolo totale, assoluto di un club nel quale lavora, gioca, vive e respira pallacanestro fin dal lontanissimo 1966. Dal primo giorno di fondazione, quindi da 53 anni. La figura, anzi, aggiungo e sottolineo, l’unica figura spendibile dalla Virtus verso l’esterno in termine di serietà di comportamenti, idee e parole. Un uomo che alla Virtus ha dato tutto e, anno dopo anno, si è speso come nessun altro per tenere vivi e accesi i colori gialloblu. L’unico che, ancora in attività, può raccontarvi del passato-presente-futuro della società fagnanese e tenere una “lectio magistralis” su tutta la storia della Virtus. Partendo ovviamente dalle origini.

virtus 2“Il mio percorso nella palla al cesto, allora – ricorda Zacchello – si chiamava così, inizia nel 1960 all’età di 12 anni, alla scuola della Cartiera Vita Mayer. La Cartiera, un lungimirante esempio di “azienda-sociale”, per i figli dei dipendenti aveva organizzato al proprio interno diversi servizi, tra i quali spiccavano la scuola di avviamento al lavoro e, incredibilmente innovativo per l’epoca, una sorta di mini-campus americano in grado di offrire un centro sportivo che comprendeva: campo da pallacanestro, campi da calcio e tennis e pista d’atletica. Con queste attrezzature a disposizione, ogni momento era buono per correre, saltare e praticare qualsiasi disciplina sportiva. Tra queste, ovviamente, anche la pallacanestro, sport che sento naturalmente mio fin dalla prima volta in cui prendo fra le mani un pallone infilandolo dolcemente nella retina. Insomma, col primo “ciuff” scatta la scintilla della mia passione per il basket”.

Chi è stato il tuo primo maestro di fondamentali?
“Nessuno – risponde secco Elio -. Giocavamo a pallacanestro  praticamente “al buio”, ovvero senza preparazione o allenamenti specifici. Si imparava guardando e imitando i gesti visti seguendo le rare partite degli adulti che, proprio in cartiera, avevano costituito una squadra che guidata da una figura mitica come Giovanni Canavesi, detto “Giuanon” per la mole, capitano-allenatore, era arrivata fino alla serie C.  Quando possibile ci si dava da fare per replicare ciò che avevamo memorizzato e imparato anche dai grandi giocatori di quel periodo. Ricordo infatti che in un paio di occasioni il famoso Maccabi Tel Aviv, di ritorno da trasferte di Coppa in continente, si fermò in Cartiera ospite del dottor Mayer per fare alcuni allenamenti e un’amichevole contro la squadra di coach Canavesi. Dopo questi primi approcci pionieristici la pallacanestro assume una connotazione più seria e strutturata con il passaggio, un paio d’anni più tardi, all’“Oratorio Madonna della Selva” di Fagnano che diventa il punto di ritrovo per tutti i ragazzi, anche del circondario, che amano la pallacanestro. Però, a far da catalizzatore alla passione, interviene una figura fondamentale per il basket fagnanese: Don Giuseppe Minetti, sacerdote di origine milanese e grandissimo innamorato del basket. Don Giuseppe alzandosi l’abito talare e infilandosi un paio di Superga di tela blu non perde occasione per entrare in campo a correre, saltare e tirare a canestro in nostra compagnia, si dà da fare per allestire la prima squadra “seria” mai vista a Fagnano. Così, da giovanissimo, entro a far parte di un gruppo di giocatori già “stagionati” in cui ci sono ex-giocatori della Gorlese come Mario Colombo e il notissimo “Centino” e i vari Filippo Scandroglio, Marazzi, Della Valle, Luoni e altri ancora. Don Minetti nell’anno domini 1966 fonda la Virtus Fagnano insieme ad altri benemeriti e iscrive virtus 1questo gruppo al campionato di Prima Divisione. Il campo da gioco con fondo in asfalto, un paio di spogliatoi piccoli ma riscaldati e un pallone di vero cuoio con la cucitura centrale rappresentano per l’epoca dei lussi assoluti: attrezzature che le squadre avversarie ci invidiano. E’ di quel periodo un episodio curioso che coinvolge noi giocatori e un coach di città, Paolo Galli, proveniente da Busto Arsizio. Coach Galli, che aveva fama di personaggio duro e intransigente, si presenta per il primo allenamento della stagione e dopo brevissimi convenevoli ordina il primo esercizio: un’ora di corsa intorno al campo a rimo sostenuto. Nessuno di noi ha nelle gambe l’allenamento per sostenere uno sforzo del genere ma, allo stesso tempo, nonostante facce ormai paonazze, dolori in tutto il corpo, conati di vomito per la fatica ed evidentissimi segni di dispnea respiratoria, nessuno vuole cedere. Tutto il gruppo si ferma solo quando uno di noi, ormai vicinissimo all’infarto fulminante, cade a terra stravolto e ancora oggi, quando ci si ritrova, è eternamente vittima di terribili prese in giro. In realtà, i primi di anni di Virtus sono piuttosto tormentati e la squadra, priva di un numero congruo di giocatori fagnanesi non sempre riesci ad iscriversi al campionato. Nel mio caso, pur di giocare, per un paio di stagioni sono addirittura costretto a trasferirmi dai “nemici-amici” di Gorla Maggiore”.

ZACCHELLO  ELIO  04 famigliaQuando avviene la svolta che lancia Fagnano nell’empireo del basket varesino?
“Il cambio di passo si verifica nella stagione 1970-‘71. Grazie allo zoccolo duro di giocatori indigeni che è si è formato nel corso degli anni, la Virtus ha una squadra vera che, rinforzata da giocatori “stranieri” di indubbie capacità – Mario Buzzi, Lollo Salmoiraghi da Castellanza, tanto per citare i più noti -, vince Prima Divisione e Promozione approdando in serie D. Una categoria che oggi forse fa sorridere, ma allora rappresentava il quarto campionato nazionale con un livello di gioco e un parco giocatori davvero niente male. La serie D ci vede comunque itineranti perché, senza palestra, ci alleniamo a Gorla Maggiore e praticamente giochiamo sempre in trasferta perché nelle gare casalinghe siamo ospiti del PalaAriosto di Busto Arsizio. Sono gli anni d’oro della Virtus che, esibendo uno sponsor importante come la “Boutique della piastrella”, si attesta come una della realtà più interessanti delle “minors” varesine con giocatori come Putignano, Scrivano, Dell’Acqua, Angelo Galmarini, Guindani, guidati da coach Giovanni “Giuanon” Canavesi”.

E tu, in quel gruppo chi eri?
“Ero un discreto giocatore che usciva dalla panchina come primo o secondo cambio con caratteristiche da tiratore puro dalla buona tecnica, ma un fisico non esattamente esplosivo. Gioco in Virtus per sette stagioni filate raccogliendo quelli che a mio avviso sono stati i migliori risultati “all-time” del club: diversi campionati ai vertici della D, con un paio di partecipazioni alla “poule” per andare in serie C. Purtroppo un guaio al ginocchio, unito ai nuovi impegni famigliari e lavorativi, mi costringono ad appendere le scarpe al chiodo. Tuttavia, la pallacanestro è sempre più parte di me e l’unico modo che ho per restare in un ambiente che considero mio è passare dal basket giocato a quello allenato. Così, senza esitazioni, accetto la proposta dei dirigenti Virtus e comincio la mia avventura da coach delle giovanili, prima leva allenata quella dei ragazzi nati nel 1958-59”.

ZACCHELLO  ELIO  02Quindi, a buon peso, fra le tue mani sono transitate almeno sei generazioni di giocatori: tantissima “robba”.
“Ma soprattutto – riprende il discorso il buon Elio – tanta, tantissima, infinita soddisfazione nel veder crescere centinaia, più probabilmente migliaia di giocatori i quali, chi più, chi meno, si sono avvicinati e interessati al basket grazie alla passione che, forse, immodestamente, sono riuscito a trasmettere. Poi, con alcune di queste generazioni, che avevano notevoli qualità tecniche, atletiche e mentali è scattata anche la “magia” dei risultati. Tra le tante mi piace ricordare quella dei ragazzi del supergruppo 64-65-66-67 con cui abbiamo vinto un paio di titoli provinciali e perso di un soffio una finalissima regionale contro Monza. Però, a questo punto penso che un piccolo grande inciso lo meritino i miei numerosi campionati alla guida della prima squadra, quasi tutti trascorsi con grande spirito di servizio perché nel momento in cui i dirigenti esoneravano il coach dei senior, io ero il primo ad essere interpellato in qualità di uomo del club ed elemento buono “per tutte le stagioni”. Poi, a margine, con una punta d’orgoglio, aggiungo che il basket degli uomini, pur non essendo particolarmente affascinante, mi ha comunque regalato diverse annate vincenti in cui ho ottenuto diverse promozioni”.

Capitolo giocatori: chi ti senti di citare?
“Angelo Galmarini, talento strepitoso e decisamente, totalmente fuori categoria; Mario Pellizzari, mio primo playmaker fosforico; Roberto Pin che ho “tenuto vivo” quando, incautamente, voleva smettere per problemi di lavoro e in seguito ha avuto una buona carriera nelle minors; Mauro Stefanoni, giocatore non appariscente ma sempre di grande efficacia, e i gemelli Tronconi, autentici trascinatori, grandissimi sotto il profilo caratteriale, qualche volta pure troppo… Poi, certamente, ce ne saranno anche altri, ma nomi e volti che a caldo mi rimbalzano in testa sono principalmente questi”.

zacchello  elio  07Allenatori, chi da ricordare?
“Nella mia carriera da giocatore ricordo specialmente i primi: Gildo Cappellini e “Giuanon” Canavesi. In quella da allenatore, in verità, ho più insegnato che imparato però qualche collega, nello specifico Gonzo, mi ha lasciato qualche buona lezione in termini metodologici o di approccio all’allenamento”.

Infine, in chiusura, a chi vanno le tue “nomination” per i dirigenti?
“Qui il podio è ex-aequo fra Don Giuseppe Minetti, persona di cui ho già parlato, e Peppino Stellini, storico presidente della Virtus scomparso nell’ottobre scorso. Due personaggi stupendi, ovviamente diversissimi fra loro, ma accomunati da tante qualità: generosità, disponibilità, profondità d’animo, sincerità di comportamenti e di pensieri e sempre animati da una grandissima passione per la pallacanestro e per la vita. Insomma: “uomini veri” che, su versanti differenti, era bello frequentare. Uomini di cui, anche oggi, sento la mancanza”.

Massimo Turconi