
Tra gli U15 provinciali l’Arsaghese è sicuramente la squadra del momento, l’unica finora ad aver frenato la marcia della corazzata Accademia Varesina in testa alla classifica del Girone C. Artefice di tutto ciò è Giuseppe Puleo, messinese classe ’85, che lo scorso luglio si è diplomato Match Analyst a Coverciano. “Amo studiare. Preparo le partite nei minimi dettagli e ho girato personalmente tutti i campi di Varese per video-analizzare gli avversari; non ho potuto visionare solo il Lonate, contro cui abbiamo perso alla prima di campionato. Il giovedì studio ogni squadra grazie al software VideoMatch cercando di capire come costruiscono la manovra, chi è il giocatore chiave, l’assetto difensivo e tutte le singole caratteristiche. A seconda di questo scelgo il modulo da utilizzare perché l’essere eclettico credo sia fondamentale nel mondo del calcio, e un allenatore deve sempre essere pronto a cambiare le carte in tavola in ogni momento”.
Non ha fatto eccezione la sfida all’Accademia Varesina. Quali sono state le tue conclusioni dopo lo studio sugli avversari? “Sapevamo di avere delle chance. Nella partita precedente la Varesina aveva subìto il primo gol del campionato e quando una difesa fino a quel momento imbattuta viene perforata è possibile che a livello mentale si creino delle crepe. Ho visto che i due difensori centrali erano piuttosto lenti, per cui ho messo davanti l’attaccante più veloce che avevo a disposizione; Santoro è colui che costruisce tutta la manovra, e quindi lo abbiamo marcato a uomo senza farlo respirare; sugli angoli Casella aveva segnato ben sei gol tagliando sul primo palo, e ho capito che bisognava impedirgli quel movimento. Tutta una serie di accortezze che sono state ripagate nel migliore dei modi. Chiaramente non è stato così facile perché la settimana prima del match avevo ricevuto tantissime chiamate di amici e addetti ai lavori che preannunciavano l’imminente debacle, e chiudere il primo tempo sotto di due reti poteva tagliare le gambe a chiunque. Negli spogliatoi ho detto ai ragazzi che la partita non era finita, che poteva succedere di tutto e che bisognava crederci fino alla fine: siamo rientrati in campo con un atteggiamento diverso, è emerso il nostro carattere, e nel momento in cui allo scadere ho visto entrare la sforbiciata di Fabbian mi sono lasciato andare con quell’esultanza sfrenata. Credo che l’abbraccio finale tutti sporchi di fango (nella foto a destra) dipinga al meglio lo spirito di questa squadra: non siamo di certo i più forti tecnicamente, ma in quanto a passione e agonismo non abbiamo rivali”.
A proposito di questo, è corretto dire che l’Arsaghese rispecchi in tutto e per tutto il suo allenatore? “Direi di sì. I ragazzi mi individuano come leader perché so trasmettere tutta la mia grinta. Siamo l’unica squadra a fare tre allenamenti a settimana e in ogni sessione cerco di metterli nelle stesse condizioni che troveranno in partita. Poi c’è anche tutto il lavoro mentale, per cui mi confronto con loro sia collettivamente sia uno per uno: i giocatori devono capire che la convocazione è un premio a prescindere e quando mi volto verso la panchina voglio vedere anche negli occhi di chi non gioca lo stesso agonismo messo in campo dai titolari. Per questo prima del fischio d’inizio ci raggruppiamo e urliamo: “Onore per il calcio!”, per ricordarci anche di tutti i sacrifici che ciascuno di noi ha fatto per arrivare a questo punto. E poi c’è la partita: io la vivo, è come se la stessi giocando. Non sopporto gli allenatori che stanno zitti, io urlo dal primo minuto, incoraggio i giocatori, esulto per un contrasto, per una rimessa, per tutto. Il mio slogan è diventato: “Siete leoni!”, lo continuo a gridare a tutti perché in fondo è questo che siamo e che dobbiamo essere sempre”.
Il prossimo avversario si chiama Coarezza, che partita dobbiamo aspettarci? “Sarà sicuramente una partita insidiosa perché ora tutti si aspettano una nostra vittoria e le altre squadre, sapendo che abbiamo fermato la prima della classe, daranno più del 100% nell’affrontarci. Se a questo aggiungiamo anche una sana rivalità sportiva, dato che il loro capitano la scorsa stagione è ora dei nostri (Salerno, ndr), è facile capire che ci aspetta una battaglia sportiva. Sarà una bella prova di maturità per noi, ma dovremo interpretare la sfida come abbiamo sempre fatto, giocandola sulla grinta e sull’ardore. In ogni caso mi riempie d’orgoglio vedere come gli avversari abbiano ora un occhio di riguardo per noi, considerando da dove e come siamo partiti”.
Puoi spiegarti meglio? “Ad agosto eravamo in quattro nello spogliatoio. In poco tempo siamo riusciti a creare un gruppo di 16/17 giocatori mettendo insieme ragazzi ‘scartati’ da squadre come Besnatese, Torino Club, Solbiatese ecc. In più non nascondo che giravo nei parchi per cercare nuovi futuri calciatori: mi avvicinavo con discrezione per non sembrare un maniaco (ride, ndr), spesso accompagnato da mia moglie perché si sa che le donne hanno più tatto. Dopodiché mi mettevo in contatto con i genitori per spiegare loro la bontà del progetto, e pian piano siamo cresciuti, tutti insieme. È incredibile vedere l’applicazione e l’attitudine dei ragazzi; ad esempio il nostro capocannoniere Veshaj aveva iniziato la stagione come portiere, e la partita contro la Crennese ha fatto la storia. Schierato inizialmente tra i pali, nella ripresa l’ho spostato in attacco inserendo il secondo portiere al posto del centravanti ed è stato proprio Veshaj a segnare il gol del pareggio. Per questo sono così orgoglioso: a settembre tutti ci davano intorno al nono/decimo posto e si aspettavano di batterci in scioltezza; abbiamo dimostrato che non è così e ci siamo guadagnati sul campo il rispetto che meritiamo”.
Le tue parole trasudano tutto il tuo amore per il calcio; quando è nato il desiderio di diventare allenatore? “Ho sempre giocato a calcio in Sicilia e quando mi sono arruolato in Polizia sono stato trasferito in Valle D’Aosta, dove ho comunque continuato a coltivare la mia passione. In quel periodo mi hanno fatto notare che ciò in cui riuscivo meglio era leggere e interpretare le partite, ma soprattutto motivare gli altri; da lì ho maturato l’idea di diventare allenatore. Poi sei anni fa mi sono stabilito a Legnano con la mia famiglia e il mio primo pensiero è stato quello di cercare una società che mi desse questa possibilità. Ho bussato alle porte dei Santi Martiri Legnano e mi hanno accolto come allenatore in seconda degli allievi provinciali: da mister Matteini ho appreso molto e nel momento in cui l’ho sostituito ho ottenuto buonissimi risultati, capendo definitivamente che quella era la mia strada. Ora sono qui all’Arsaghese da due anni, il mio lavoro non passa inosservato, e ringrazio chiunque abbia contribuito a tutto ciò. Ho chiesto l’aspettativa alla Polizia: rispetto la divisa, ma amo il calcio, il mio destino è fare l’allenatore e svegliarsi la mattina sapendo di dover vivere facendo ciò che realmente desideri è impagabile”.
Alla luce di quanto hai detto qual è il tuo sogno nel cassetto? “Bisogna essere realisti e capire che non si può avere tutto dall’oggi al domani, ma occorre conquistarsi ogni singola cosa procedendo a piccoli passi. Il mio sogno in questo momento è arrivare nella società più importante di Varese: da lì spero di riuscire a scalare le gerarchie e arrivare tra i professionisti, trasmettendo in ogni istante la mia fame, il mio cuore e la mia passione”.
Matteo Carraro