Al giro di boa del campionato è il Città di Varese a guardare tutti dall’alto verso il basso; un bel risultato considerando da dove e come era partito il nuovo corso biancorosso. Fra gli artefici della rinascita spicca la figura del vicepresidente Stefano Amirante, ed è proprio l’avvocato classe ’72 a tirare le somme del girone d’andata: “Dal punto di vista sportivo il bilancio non può che essere positivo, anche se speravamo di non perdere contro il Don Bosco; in ogni caso il percorso fatto dalla squadra è sicuramente di quelli importanti e il primo posto ne è il giusto riconoscimento”.

Un valore aggiunto è sicuramente Matteo Ponti; cosa significa avere in Terza Categoria giocatori che, come lui, sono abituati a stare in categorie superiori?
“In realtà la rosa è stata costruita seguendo più le possibilità che le esigenze. Nel momento in cui noi abbiamo iniziato a lavorare ad agosto la maggior parte delle squadre era già formata: siamo stati in qualche modo costretti a lavorare sui rapporti personali, sul passaparola, convincendo giocatori rimasti svincolati o che pensavano di smettere. È il caso anche di Matteo, uno che non ha certamente bisogno di presentazioni: è il nostro capocannoniere e sta dando un grandissimo contributo alla causa. Poi è ovvio che coinvolgendo nomi importanti è stato più facile raggiungerne altri di pari livello”.

Anche la scelta di mister Iori rientra nel passaparola?
“L’idea di Stefano Iori come allenatore è nata a seguito di alcuni consigli che mi sono arrivati. Non faccio nomi, ma alcune mie conoscenze fidate me l’hanno indicato come il profilo ideale per noi e fin dal primo incontro abbiamo capito che era la persona giusta”.

Vi aspettavate un campionato meno competitivo?
“Onestamente non conoscevo nessuno e quindi non potevo aspettarmi niente, ma del resto non conoscevo nemmeno noi stessi. È un calcio diverso da quello a cui ero abituato e mi sono basato sul sentito dire. Ora che abbiamo incontrato tutte le squadre posso dire che è un campionato molto equilibrato in cui anche le piccole possono dare del filo da torcere. Il livello delle squadre dipende poi molto da fattori come assenze e infortuni; rispetto a quando ero direttore generale del Milano City in Serie D adesso non abbiamo la certezza di avere la rosa a disposizione”.

In che senso?
“In una realtà come la Serie D fare il calciatore è di fatto una professione. Qui invece ci si allena solo due volte la settimana, molti giocatori lavorano e potrebbero non essere disponibili addirittura per le partite. Noi abbiamo lavorato al meglio, abbiamo creato una rosa molto competitiva, ma non è detto che tutti siano sempre a disposizione; lo stesso Ponti qualche partita l’ha saltata. Il problema pratico è che non ci sono certezze perché anche nel momento in cui qualcuno s’infortuna non si può sapere con precisione quando tornerà”.

Molti avversari hanno parlato di sudditanza psicologica della categoria arbitrale nei vostri confronti. Come risponde il Città di Varese?
“Che non è vero, e per dimostrarlo basta guardare il numero di ammonizioni prese per protesta: se esistesse davvero la sudditanza psicologica l’arbitro starebbe lì ad ascoltare invece di ammonire subito. Contro il Don Bosco ci è stato dato un rigore inesistente; ma anche agli avversari ne è stato concesso uno che non c’era. Per cui la sudditanza psicologica non esiste. Chi dice queste cose dovrebbe piuttosto pensare a un aspetto che troppo spesso ci si dimentica: siamo in Terza Categoria. Gli arbitri sono soli, senza guardalinee e l’errore umano c’è sempre stato nel calcio. E il fatto di giocare a questo livello è un qualcosa che tutti dovremmo ricordarci; io stesso me lo ripeto ogni giorno perché è un mondo completamente diverso rispetto alla Serie D”.

Facendo un passo indietro e tornando alla scorsa estate, com’è stato costruire da zero una squadra chiamata a raccogliere l’eredità del Varese 1910?
“Il fatto di giocare a Varese e partire con l’intento di colmare lo spazio che si è venuto a creare dopo i vari fallimenti delle gestioni precedenti è stato uno dei fattori chiave per convincere molti a sposare il nostro progetto. Abbiamo fatto tutto all’ultimo ma perfettamente nei tempi, affiliandoci alla FGC e iscrivendoci al campionato. All’inizio eravamo solo io e Stefano Pertile; c’era anche Cesare Bonazzi ma la sua malattia era in stato avanzato e purtroppo sappiamo come è finita, per cui diciamo che la sua presenza era più di spirito. La primissima fase richiedeva tutta una serie di adempimenti burocratici e organizzativi anche per LND: in questo sono stato aiutato dalla mia esperienza in Serie D e dalla mia professione di avvocato. Per le cose più pratiche serviva inevitabilmente la collaborazione di qualcuno”.

E le collaborazioni sono arrivate subito?
“Sì, e alcune spontaneamente. Quando abbiamo incontrato i tifosi in Piazza Montegrappa tra la folla c’era Dario Rossi che attualmente è il nostro factotum, da massaggiatore a magazziniere: tifosissimo del Varese, aveva lavorato per il Brebbia, e la sua esperienza è stata fondamentale. E poi, ovviamente, impossibile non citare il presidente Stefano Pertile che è riuscito a coinvolgere parecchie persone per completare la costruzione di un bell’organico. È un uomo che ha grande voglia di fare e si occupa di tutto a 360° con grande spirito di abnegazione”.

Alla luce di quanto detto è chiaro che il Città di Varese ha come obiettivo a breve termine quello di vincere la Terza Categoria. Per quanto riguarda il medio/lungo periodo invece?
“Compatibilmente con le possibilità, analizzate da tutti i punti di vista, il traguardo è quello di salire il più possibile e il prima possibile. In questo percorso, a mio giudizio, non dobbiamo prendere scorciatoie: a meno che non sia proprio necessario, non mi piace saltare categorie o fare fusioni. Dobbiamo semplicemente salire senza fare il passo più lungo della gamba, altrimenti cadremo facendoci male; evitiamo di fare errori che abbiamo visto commettere in passato”.

Il riferimento è chiaro. A questo proposito state già lavorando in quest’ottica?
“I costi fra una Terza Categoria e una Promozione quintuplicano, e anche di più. Per questo motivo bisogna fare le cose per bene in modo da trovare le persone giuste che possano aiutarci. Attualmente noi vogliamo che queste persone giuste si avvicinino innanzitutto per conoscerci, per capire la differenza rispetto agli anni passati, in modo da arrivare un domani a costruire un rapporto di fiducia per cui siano pronti a rispondere a nostre eventuali richieste. Quello che vogliamo è far capire chi siamo, anche se è molto difficile considerando da dove siamo partiti”.

A livello di strutture qual è la situazione?
“La questione stadio non ci riguarda. Anche alle Bustecche ci sarebbero interventi da fare, ma in questo momento non possiamo prenderci in carico delle strutture perché sarebbe folle e deleterio dal punto di vista economico. Con quello che costa un mese di affitto dell’Ossola noi ci facciamo una stagione intere in questa categoria. La nostra società ha avviato un progetto con i piedi ben piantati per terra: la situazione stadio va affrontata, ma non da noi, e nel momento in cui il Comune metterà a disposizione uno stadio degno di tale nome ne riparleremo. La gestione precedente è arrivata al punto di non potersi più permettere di giocare all’Ossola; noi non faremo lo stesso errore e preferiamo stare a un livello più basso finché non ci sarà la possibilità per fare grandi investimenti”.

Cos’è quindi il Città di Varese?
“Il Città di Varese deve ambire ad essere la squadra della città di Varese. Dobbiamo cominciare a dare una certa immagine della nostra società: a Brebbia non c’erano le bandierine e le abbiamo messe noi a disposizione, preferiamo non rispondere alle provocazioni di altre società. Noi siamo il Città di Varese, dobbiamo volare in alto e dimostrare sempre qualcosa di più”.

Matteo Carraro