Nel nostro viaggio a Palermo, oltre a Di Giovanni, abbiamo incontrato anche un altro ex Varese,  Christian Terlizzi.
“Mi sono trasferito a Roma da due mesi, ma l Sicilia ormai ce l’ho nel cuore e ci torno spesso e volentieri.
Avevo una mia scuola calcio poi abbiamo cercato di fare un connubio tra due società ed è nata la Fortitudo Bagheria anche se fare una società nel settore giovanile non è facile. Mi sono trasferito a Roma perché mio figlio maggiore gioca nella Roma e il più piccolo nella Lazio”.

Quella famosa partita di finale playoff Sampdoria – Varese, parliamone.
“Abbiamo fatto dei playoff bellissimi. Siamo partiti subito contro il Verona che qualche giornata prima ci aveva dato una lezione di calcio a casa sua. Ho avuto personalmente dei problemini, sono stato messo fuori rosa perché perdevamo 3 a 0 a Verona e ho perso la bussola, sono andato in attacco per cercare di guadagnare posizioni ed è stato un brutto esempio da dare allo spogliatoio perché ero uno che non mollava mai, giocavo sempre e giustamente la società stava facendo dei passi importanti. Poi ho parlato con loro e ho chiesto di farmi rimettere in rosa e dopo siamo ripartiti per i playoff. La settimana dopo ho segnato contro la Sampdoria. La Sampdoria è arrivata sesta e noi quinti e fatalità vuole che ci è capitato il Verona. Secondo me loro erano convinti di fare quello che volevano e invece in casa gli abbiamo dato una lezione di calcio dove ho segnato pure io. Siamo andati a giocare il ritorno da loro, lì segno ancora e la partita finisce 1-1 e così andiamo in finale con la Sampdoria. Era un momento bellissimo, c’era tanto entusiasmo. Eravamo una squadra che si ritrovava a fare una finale playoff contro una squadra non forte sul campo ma politicamente.
A Marassi abbiamo fatto una buona gara, la partita poteva finire benissimo 2 a 2 e nel dopo partita sia io che il mister siamo stati bravi a trovare le giuste parole per rincuorare i ragazzi. C’era qualche difficoltà perché sia io che altri eravamo infortunati, ci sono stati anche degli screzi. In quei giorni mi sono curato a Milano e poi sono andato a giocare la partita”.

Hai fatto una carriera importante, hai giocato in serie A, a Palermo e alla fine Varese ti è rimasta nel cuore.
“Ho sempre detto che a Varese sarei rimasto sempre. I primi mesi ho fatto fatica ad ambientarmi perché venivo da una città e da una realtà diversa. Poi le cose non andavano bene, non stavo bene con il ginocchio, i tifosi si aspettavano tanto e all’inizio sono stato definito come uno andato lì per svernare. Ho cominciato a fare un lavoro psicologico su me stesso e da ottobre in poi ho cominciato un’altra mia avventura. Ma a fine anno parlando con il presidente abbiamo capito che non c’erano le condizioni di andare avanti”.

Cosa fai a Roma?
“Seguo i miei figli. E’ giusto dare spazio ai figli che crescono perché quando uno gioca non li segue abbastanza. Più avanti vorrei fare qualcosa nel mondo del calcio ma ancora è presto perché non ci sono ancora delle realtà che ti permettono di iniziare un buon progetto”.

Potendo scegliere, come ti vedresti? Allenatore o dirigente?
“Ho preso il patentino poi vorrei prendere quello della Uefa a giugno, a Coverciano. Da quando frequento la scuola calcio allenare i ragazzi non mi dispiace ed è stimolante perché metti la tua esperienza al servizio dei giovani e secondo me oggi si da poco peso al settore giovanile. Chi ha giocato riesce a vedere con un occhio in più certe cose che chi non l’ha fatto non vede e lascia al ragazzo qualcosa in più. Ma anche come dirigente a livello organizzativo mi piacerebbe lavorare, bisogna solo capire in che società entri e che cosa vuole”.

m.m.

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