Dopo due stagioni a Venegono, in cui ha più volte dimostrato il suo valore, è terminata l’avventura alla Varesina di Alessio Cargiolli. Ed è proprio l’attaccante spezzino classe ’89 a parlare del divorzio con le Fenici: “Il motivo principale è legato ad una questione economica, in quanto, vista anche tutta la situazione legata al Coronavirus, certi sponsor si sono ritirati. Questa è la spiegazione che mi è stata data, per cui la scelta di separare le nostre strade non dipende da una valutazione tecnica. Mi dispiace perché comunque qui mi sono trovato bene”.

Qual è il bilancio della tua avventura?
“Arrivavo da due campionati vinti con l’Albissola, prima in Eccellenza e poi in Serie D, nei quali avevo fatto 32 gol. Non nego che le richieste erano tante, ma anche su consiglio del mio procuratore avevo accettato l’offerta della Varesina: all’epoca ero praticamente certo di giocare in Serie D, tuttavia la squadra non è stata ripescata e siamo rimasti in Eccellenza. Ero a conoscenza di questa possibilità e, anche se ho avuto delle difficoltà ad adattarmi, sapevo che la mia firma era stata dettata dalla volontà di sposare il progetto che mi era stato presentato. È chiaro che ragionavo su un certo numero di anni, per cui mi dispiace dovermene andare dopo sole due stagioni, ma ripeto che qui sono stato davvero bene: la società ha sempre pagato regolarmente, gli impianti sono professionali e la gestione di ogni cosa mi ha lasciato soddisfatto. Sicuramente avrei preferito giocare in Serie D, ma ho comunque detto la mia”.

C’è qualche rimpianto per come è andata questa stagione? 
“Anche nel mio primo anno la squadra era costruita per raggiungere la Serie D, e invece non siamo riusciti a vincere il campionato. Devo dire che giocare alla Varesina significa tener conto di tante aspettative, sia da parte della società sia da parte delle altre squadre, dei giornalisti e di tutto ciò che ci circonda. Con i vari acquisti fatti tutti davano per scontata la nostra vittoria, ma nel calcio nulla è scontato e mettere insieme gente forte non è sinonimo di successo; indubbiamente si vince con i grandi giocatori, ma è altrettanto importante l’alchimia di squadra. All’Albissola il primo anno avevamo chiaramente la squadra più forte, ma in Serie D eravamo partiti con l’obiettivo di salvarci dignitosamente; con la coesione e l’unità del gruppo abbiamo invece vinto il campionato”.

Quale sarà il tuo futuro? So che ci sono parecchie voci sulla Vogherese…
“Ad oggi non mi hanno ancora chiamato, per cui non posso sapere se queste voci siano effettivamente vere. Tramite il mio procuratore ho avuto due richieste da squadre, una di Eccellenza e una di Serie D, che però provengono da fuori regione. Essendomi stabilito a Como, vorrei prima guardarmi intorno per capire se c’è la possibilità di giocare qui, anche perché di squadre ce ne sono, eccome. Vediamo se si smuoverà qualcosa, altrimenti prenderei atto della situazione e mi sposterei senza problemi perché questo è il mio lavoro”.

Questa è stata una stagione atipica soprattutto per via del Coronavirus; come hai vissuto questi mesi lontano dal campo?
“Male. Io come professione ho sempre fatto solo il calciatore, cosa che mi ha permesso di mantenermi e di mantenere una famiglia. Mi sono allenato a casa, avendo anche la fortuna di avere un giardino, ma alla fine quello che ti manca è proprio il campo: la settimana passa, ma affrontare la domenica senza partita è davvero triste. Lì ho capito i discorsi di chi dice che è difficile smettere di giocare: per quanto riguarda l’allenamento puoi rimediare individualmente, ma spogliatoio e partite sono mancanze insopportabili”.

Indipendentemente da dove andrai, qual è il tuo obiettivo per la prossima stagione? Anche alla luce delle nuove normative.
“Sinceramente a questo non ho mai pensato, perché mi aspetto solo di ripartire normalmente e di tornare a giocare la domenica con regolarità. Per quanto riguarda la prossima stagione in sé, vorrei tornare ad avere un contatto diretto con i tifosi: in Serie D giocavo in parecchi stadi ‘caldi’, mentre in Eccellenza, per quanto sia un bel campionato, mi è mancato giocare in piazze con tifosi importanti”.

Tornando indietro nella tua carriera, rifaresti le stesse scelte o cambieresti qualcosa?
“Magari non rifarei la scelta di tornare in Eccellenza dopo aver vinto un campionato di Serie D, perché mi sono reso conto che scendere è un attimo, mentre risalire è più complicato. Non sto dicendo che mi sono pentito: per come sono fatto non rinnego le scelte prese, qui mi sono trovato benissimo e non sono mai stato trattato male. Purtroppo ogni cosa ha un inizio e una fine, accetto quello che ho fatto senza alcun rimpianto”.

Il tuo curriculum parla per te, ma se dovessi descriverti quale sarebbe il tuo punto di forza? 
“La duttilità: posso giocare esterno, seconda punta, trequartista e in passato ho fatto anche la mezzala riuscendo a fare 15 gol. Ma non sono un bomber, perché il mio top-score è di 16 gol in Serie D, che è un buonissimo risultato, e personalmente mi piace anche far segnare i miei compagni. Viceversa è capitato di sentirmi dire che a volte ‘non faccio la guerra’, ma in realtà non è così: io non mi tiro mai indietro, ma questo non vuol dire andare a far male all’avversario”.

Hai un modello di riferimento nel mondo del calcio?
“In realtà no perché io sono un calciatore atipico: seguo solo il calcio che mi compete. Mi piace guardare la Serie A o la Champions League, ma non sono un tifoso sfegatato; anche quando vado a vedere qualche partita allo stadio mi stufo in fretta perché più che guardare vorrei scendere in campo e giocare”.

Una volta smesso con il calcio giocato cosa vorresti fare?
“Ho un diploma da personal trainer e sono un amante del fitness, per cui mi sto già muovendo per pensare al mio futuro post-calciatore, ma devo dire che mi piacerebbe restare nel mondo del calcio. Non mi vedo come allenatore perché per quanto mi piaccia insegnare e trasmettere la mia esperienza, non ho pazienza e quindi non sarei adatto. Mi piacerebbe invece fare il procuratore o, ancor di più, il direttore sportivo. È chiaro che sono discorsi prematuri, magari cambierò idea, e ora come ora penso a giocare e di potermi mantenere su questi livelli ancora per cinque o sei anni”.

Matteo Carraro
(foto Enrico Scaringi)

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