Esiste un’ampia letteratura sulla naturale solitudine del portiere. Testimone, se non altro, il colore diverso della maglia. Quando si parla di chi sta in porta vale la pena fare sempre un discorso a parte. Forse perché se non lo sei stato anche tu, ogni più profonda congettura sul termine risulterebbe quanto meno astratta.
Addentriamoci dunque in questo modo, quello dei guantoni e delle maglie comunque più sporche di quelle dei compagni, attraverso le parole di Angelo Castelli, che prepara la propria seconda stagione da preparatore dei portieri della Castellanzese.
Tagliamo subito la testa al toro: noi profani giocatori di movimento potremmo mai essere un preparatore dei portieri degno di questo nome?
“Credo proprio di no. L’ho capito in altre realtà che non avevano questo tipo di base. Gente che non ha fatto il portiere non può fare il preparatore, non può capire. Anche perché se lo hai fatto sai cosa incontreranno i giocatori perché l’hai passato prima tu”.
Come è cominciata la sua carriera da preparatore dei portieri?
“Pierantonio Bosaglia, ex portiere del Venezia, mio allenatore quando giocavo tra i pali a Guanzate, mi chiese di seguirlo nel suo percorso da preparatore. I suoi insegnamenti: entrare in sintonia con la persona prima che il portiere, inserire il tuo vissuto in quello degli altri”.
Soddisfi questa curiosità: cosa passa nella testa di un portiere dopo un errore che ha causato un gol?
“La discriminante è il momento. Se siamo nel primo tempo, nell’intervallo da preparatore devi fargli capire che la situazione deve essere superata. Il portiere deve essere bravo a resettare velocemente. Non nascondo che dopo un errore in avvio è dura rimotivare un giocatore, perché spesso è il primo a cui viene addossata la colpa del gol subito. Ci sono poi delle partite in cui pari tanto e hai subito l’occasione di reagire, partite in cui invece sei chiamato in causa pochissime volte e il meccanismo si complica. Lì deve subentrare il carattere”.
Alìo e Colnaghi, i suoi due portieri nella scorsa stagione alla Castellanzese, di carattere ne avevano?
“Penso siano stati bravi a crearsi la giusta credibilità nel tempo. In allenamento, se inizialmente ad ogni errore incassavano le battute dei compagni, poi hanno cominciato ad essere consapevoli delle loro capacità, dimostrarle con i fatti e provocare loro stessi gli altri che nel tempo hanno acquisito un grande rispetto nei loro confronti. Perché la squadra capisce se lavori o meno, e se lo fai bene”.
Nuova stagione, nuova coppia di portieri. Capita spesso in queste categorie. Come si fa a ripartire ogni anno da zero?
“Devo essere onesto, sono al settimo anno di Serie D come preparatore dei portieri e non ho mai avuto gli stessi giocatori per più di un anno. L’unica cosa da fare è resettare tutto e guardare il lavoro che propone il Mister. C’è chi vuole che i portieri giochino con i piedi, come Mister Mazzoleni, o chi vuole che spazzino via e basta. Così strutturi il tuo lavoro. Per esempio, i portieri di quest’anno arrivano da realtà importanti, ma non hanno mai fatto questa categoria, perciò sarà interessante lavorarci e testare la loro resistenza mentale”.
Al netto della situazione contingente, solitamente come suddivide il lavoro da sottoporre ai portieri?
“Sostanzialmente il periodo di preparazione è concentrato sul fisico. Si lavora su gambe, addominali, spalle, braccia. Quando comincia la stagione si lavora meno sulla struttura fisica e tutto il resto viene dedicato alla tattica e alla tecnica. Durante la preparazione preferisco lavorare sul fisico perché poi dopo lo tieni in allenamento più facilmente”.
I portieri vengono allenati anche a essere allenatori in campo? Tutti lo possono fare?
“In allenamento generalmente facciamo la prova di impostazione di gara partendo dal portiere. Simuliamo un 11 contro 0 e già da quel momento il portiere deve imparare a dettare i tempi. Perché poi, se lo si fa bene, si vede la differenza in partita quando partiamo dal fondo giocando la palla e arriviamo dall’altra parte. Non tutti hanno le caratteristiche per farlo. Se uno ha carisma la squadra lo percepisce e vi si affida”.
Possiamo considerarla un allenatore personale per i due con i guantoni…
“Generalmente prima viene sempre il Mister. Ma se qualcosa non va è lui a prendermi da parte e chiedermi di dare una strigliata al portiere in questione, magari nel bel mezzo di una partita. Non sono però uno che sbraita”.
Che vive le partite in maniera accesa, questo lo possiamo dire?
“Certo, le vivo come se le giocassi io. E spesso quando ci sono degli errori divento matto. Ma è la cosa migliore per analizzarla. Non mi piace filmare le partite dalla tribuna, preferisco segnarmi le cose da bordo campo per avere una prospettiva più simile a quella del portiere”.
Concludiamo con consiglio per un giovane aspirante preparatore dei portieri.
“Concentrarsi prima di tutto sull’entrare in contatto con la persona perché poi quando c’è da fare qualcosa sarà lei per prima a rivolgersi a te. Essere allenatore e nel frattempo capire i giocatori e cercare di migliorarsi. E alleggerire la tensione quando serve. Bisogna divertirsi prima di tutto”.
Alessio Colombo