Il campionato si avvia a grandi passi verso la fine del girone d’andata e la Openjobmetis Varese si trova ad affrontare una sfida cruciale per il suo cammino, quella di domenica contro Treviso, con palla a due alle ore 17 all’Enerxenia Arena di Masnago. Una sfida che i ragazzi di coach Bulleri non possono sbagliare per abbandonare l’ultimo posto in classifica e prendere una boccata d’ossigeno dopo 3 stop consecutivi contro Milano, Reggio Emilia e Venezia seguiti alla pausa delle nazionali.
Proprio il coach di Cecina è chiamato a spronare i suoi ragazzi ad una reazione e a riportare i due punti sotto il Sacro Monte per non compromettere la sua avventura sulla panchina di Varese, raggiunta in una calda giornata estiva. Di fronte si troverà quella Treviso che ha segnato indelebilmente la sua storia da giocatore e che ora può segnare quella da allenatore.

Tra poco sarà Natale, che quest’anno sarà un po’ particolare a causa del covid-19. Come passava questa festa in famiglia da bambino?
“Un Natale prettamente familiare, fatto di grande armonia, serenità e felicità. Una festa fatta con babbo, mamma e mio fratello e qualche parente ogni tanto, ma fondamentalmente eravamo sempre noi quattro. L’atmosfera era quella classica natalizia: si trovavano i regali sotto l’albero la mattina di Natale, di solito ricevevi ciò che speravi e desideravi e magari anche qualcosa in più. Ho solo ricordi magnifici ed indelebili che albergano dentro di me, nel mio profondo, nella maniera più totale”.

Quando Massimo Bulleri si avvicina, scopre ed inizia ad amare il mondo della pallacanestro?
“Mio fratello è undici anni più grande di me e lui giocava a basket. I miei genitori avevano l’abitudine di seguirlo sempre nelle partite e spesso anche durante gli allenamenti e i miei primi ricordi sono quelli di noi che andavamo da Cecina a Livorno mentre lui si allenava. Io prendevo la palla e giocavo a bordo campo, in tribuna, insomma ogni posto dove potessi giocare. Mio padre più tardi mi fece un canestro e così con gli amici o nel tempo libero tiravo e giocavo sempre. Da lì ho intrapreso il percorso del settore giovanile, prima a Cecina poi a Livorno e via discorrendo”.

Se le parlo di Treviso, lei cosa mi dice?
“Sicuramente Treviso è stata la mia tappa più importante nel percorso da giocatore. È la piazza dove ho tagliato i traguardi più importanti, dove ci sono i miei ricordi sportivi più forti e di conoscenza umana tra le più importanti a livello di manager, allenatori e giocatori. Ho avuto la fortuna di incontrare persone di primissimo livello della pallacanestro italiana, europea e mondiale. Quindi sicuramente l’esperienza a Treviso è stata l’apice della mia carriera; poi ci sono altre tappe importanti come Varese, Brindisi, Milano, ma sicuramente per me Treviso ha un sapore particolare. Sono partito dalla Juniores fino ad arrivare in prima squadra, ho vinto l’MVP del campionato, i trofei e tutto quanto. Una scalata importantissima che è terminata con il mondo Benetton nel 2012. Fermo restando i cinque anni a Milano, sono rimasto sempre legato a Treviso”.

Tra le sue vittorie, individuali e di squadra, qual è quella a cui rimane più legato?
“L’argento alle Olimpiadi senza dubbio. È il traguardo al quale sono più affezionato perché è quello che è più storia di tutti gli altri. Perché poi gli scudetti, bene o male, ogni anno una squadra li vince. I premi individuali ma perfino gli Europei sono una manifestazione ciclica e che si può ripetere. Le Olimpiadi sono un traguardo ed una stella che brilla di luce propria e che brillerà per sempre anche se dopo Atene la Nazionale non è più andata a questa manifestazione. Non c’è dubbio che quell’argento sia il trofeo a cui sono più legato ed a cui tengo di più”.

Come ha vissuto il giorno dell’addio al basket giocato qui a Varese?
“E’ stato un misto di emozioni tra la malinconia di lasciare un mondo al quale ero e sono legato. Una parte della mia vita lunghissima e profonda che mi ha regalato molto di più di quanto avessi mai potuto immaginare o sognare. Dall’altra parte una sorta non dico di liberazione, ma di consapevolezza di essere arrivato in fondo, non ne avevo davvero più e ho iniziato a pensare ad altro. Gli ultimi giorni, l’ultimo periodo, ho oscillato tra questo genere di emozioni. Chiaramente la scelta di smettere di giocare non è maturata dall’oggi al domani, ma è stato un percorso lungo e che si è sviluppato piano piano dentro di me, consolidandosi fino al momento ufficiale. Rispetto a questo non ho mai avuto dubbi di aver smesso troppo tardi, sono stato felicissimo di finire qua a Varese che è un ambiente che ho trovato per caso, al quale mi sono legato in maniera molto forte, motivo per il quale sono qui ancora adesso. Qui ho trovato persone magnifiche, ho avuto modo di allacciare rapporti interpersonali di altissimo livello ed è un posto che mi sta lasciando emozioni fortissime ed al quale, indipendentemente da come potrà andare da qui ad un futuro lungo, rimarrò legato indissolubilmente”.

Nella sua lunga carriera ed esperienza, c’è un personaggio in particolare che per lei è stato fondamentale nella sua crescita e avventura cestistica?
“E’ sempre difficile scegliere un solo personaggio in questi casi, ma io sono inevitabilmente molto legato al mondo della famiglia Benetton ed in particolare alla persona a capo di tutto questo, Maurizio Gherardini. Mi hanno preso da una società importante ma in chiusura come Livorno e mi hanno lanciato in una grandissima realtà in espansione, permettendomi di raggiungere grandissimi traguardi. La possibilità di essere cresciuto ed aver lavorato in una società gestita da Maurizio Gherardini è stato per me fondamentale. Mi ha dato la possibilità di crescere senza bruciarmi, facendo le tappe giuste, responsabilizzandomi nella maniera giusta, nel momento corretto della carriera, prima andando in prestito poi facendomi tornare, dandomi la possibilità di fare la scalata verso la titolarità in prima squadra e nella gerarchia dentro Treviso. E’ una persona alla quale sono tutt’oggi molto legato, con cui ho una serie di riflessioni e confronti formanti. E’ un punto di riferimento forte non solo per quella che è stata la mia carriera da giocatore ma anche per quello che sto facendo adesso nel mondo del basket da allenatore”.

Alessandro Burin

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