Parte da una lezione di geometria, l’intervista con Vincenzo Cavazzana, assistente di coach Attilio Caja. Parte dalla quadratura del cerchio, quello che Cavazzana ha chiuso l’estate con l’Aquila Trento, e continua con un triangolo costruito sui cateti: Cremona, Pavia, Varese.
“Con l’addio di coach Buscaglia – dice Vincenzo – del quale ero assistente da sei stagioni, ho capito che dovevo cambiare strada pure io. A quel punto sono stato contattato da Andrea Conti, general manager varesino, che conosco da tanti anni. Fin dai tempi in cui giocavamo entrambi a Cremona, seppur in squadre diverse: lui alla Ju-Vi, io a Soresina. Un altro lato del triangolo mi porta a Pavia, quindi a coach Caja, che in un’epoca preistorica (inizi anni ’90 ndr), è stato mio allenatore, anche se da assistente dei coach Taurisano e Zorzi. E infine, il triangolo si è completato qui a Varese e, devo aggiungere, è davvero un bel modo di finire i “compiti di geometria” perché Varese, tra tutte, è una città di basket unica nel suo genere e assolutamente speciale per il rapporto stretto, intimo e amorevole che la stringe alla pallacanestro. Qui, avverti subito il senso di sacralità che circonda la palla a spicchi e, al di là e ben oltre i risultati, capisci immediatamente che lavorare nel basket rappresenta una responsabilità tecnica, ma anche, soprattutto morale. Basta dare un occhio alla tribuna del parterre per scorgere ogni domenica ex grandi protagonisti della pallacanestro italiana i quali, giustamente, da te attendono il massimo. Basta gettare uno sguardo alle tribune per intuire che i quattromila, e anche più, spettatori capiscono bene quello che fai e tu, di contro, capisci che con questa gente non puoi barare o dissimulare. Per un motivo molto semplice: sei VARESE”.

Come detto sei a Varese in qualità di assistente di coach “Artiglio Caja: che effetto ti fa ritrovarlo dopo quasi 30 anni?
“Prima di tutto ringrazio Caja per avermi voluto nel suo staff e, aggiungo, non era affatto scontato. Poi, parlando di Attilio, devo ovviamente confermare che ho ri-trovato un uomo completamente diverso. Allora, erano gli anni ruggenti della Pavia di Oscar, Masetti, Lock, Fantin e compagnia e Caja era un giovane allenatore ricco di entusiasmo, voglia di fare, di imparare, di emergere. Oggi invece abbiamo a che fare con uno dei tecnici più preparati e apprezzati nel panorama del basket italiano. Caja è un allenatore sempre molto concentrato ed esigente. Con se stesso, con i giocatori, con tutti gli elementi del suo staff. Avere il privilegio di lavorare insieme ad Attilio rappresenta certamente un “upgrade” nel mio percorso formativo come allenatore. Rispetto ai tempi di Pavia coach Caja è cambiato tanto e, tecnicamente, in meglio diventando un allenatore capace di proporre un basket con grandissima qualità ed efficacia difensiva e uno stile di lavoro con pochi eguali in Italia”.

Il tuo percorso tecnico ormai è piuttosto importante. Tra gli allenatori con cui hai lavorato, chi ricordi con particolare attenzione?
“Dule Vujosevic, che ho avuto come allenatore a Brescia. Dule, per così dire, mi ha aperto la testa, resettato tutti i circuiti tecnici e mentali e, dopo aver migliorato tutto l’esistente, me l’ha richiusa. Frequentando Vujosevic ho capito, o almeno spero, il senso profondo della cosiddetta “scuola slava”. Un modo di fare e insegnare pallacanestro che ogni giocatore in formazione, diciamo dai 18 ai 24-25 anni, dovrebbe provare. Un approccio al basket totalizzante e impegnativo al mille per cento dal punto di vista fisico e mentale per l’allenatore come per i giocatori. Ogni allenamento, ogni ora passata con Dule in palestra rappresentavano una “guerra” in cui si salvava solo chi era in grado di dimostrare più tenacia, concentrazione, capacità di soffrire e, più di tutto, molto di più, voglia di accettare, e vincere, l’unica sfida che conti davvero: quella con se stessi. Purtroppo il messaggio di Dule mi è arrivato troppo tardi altrimenti sarei diventato certamente un giocatore migliore”.

Parlavi di risultati: che giudizio dai della stagione prima che questa venisse clamorosamente interrotta dall’uragano coronavirus?
“La mia valutazione  – argomenta Cavazzana –, ampiamente positiva tiene nel giusto conto una squadra che è partita con tanti giocatori nuovi che, come tali, hanno avuto bisogno di tempo per assimilare il sistema di gioco proposto da coach Caja e, per così dire, completare al meglio una fase di rodaggio che, comunque, ci ha portato vicinissimi alla Final Eight di Coppa Italia. Nei nostri programmi c’era l’idea, in questa seconda parte dell’anno, di inserire le marce alte e grazie ad alcuni aggiustamenti, in particolare quello di Carter, partecipare alla volata per i playoff. Un obiettivo che ritenevamo oggettivamente raggiungibile prima che iniziasse questo disastro”.

Restiamo sul “disastro coronavirus”: qual è la tua posizione su un’eventuale ripresa della stagione?
“Premessa doverosa: siamo professionisti e in quest’ottica dovremo essere pronti a qualsiasi decisione verrà presa nel merito. Però, come ex-giocatore, allenatore e soprattutto appassionato di pallacanestro, dico che se mai dovessimo riprendere a giocare dovrà essere in funzione del pubblico e della gente che ama visceralmente questo sport. La pallacanestro ai nostri livelli è fatta per il pubblico, per lo spettacolo, per i tifosi che la seguono. Il basket in serie A è “proprietà” del pubblico e la nostra attività è tutta e solo per la gente che paga il biglietto per venirci a vedere. Pensare di continuare la stagione a porte chiuse, solo per assegnare titoli sarebbe davvero ingiusto, ancorchè deprimente. Ho provato questa sensazione – giocare a porte chiuse – due stagioni fa nel playoff tra Trento ed Avellino. In Campania, stante la squalifica del PalaDelMauro, giocammo in un palazzetto vuoto e spettrale e, davvero, mi auguro con capiti mai più”.

Capitolo giocatori Openjobmetis: chi tra i biancorossi ti ha sorpreso, ovvero chi ha superato le tue aspettative?
“Rispondere a questa domanda è davvero complicato perché, come più volte sottolineato da anche da coach Caja, abbiamo fortunatamente a che fare con un gruppo di ragazzi assolutamente eccellente che in palestra lavora in modo tanto duro, quanto serio. Un gruppo a cui, orgogliosamente, se fossi un professore assegnerei tutti dieci. Però, non volendo scansare la risposta, dico che la lode la darei a Matteo Tambone, giocatore che si impegna in maniera straordinaria e non a caso è stato premiato con la convocazione in Nazionale, e Jeremy Simmons, vera “fotografia” del giocatore che un millimetro alla volta, con grandissima determinazione, continua a crescere migliorare”.

Guardati alle spalle e rinfrescando i tuoi ricordi da giocatore prova a dirmi: chi sono stati i tuoi mentori?
cavazzana pallacanestro varese da giocatore n4
“Ho avuto la fortuna di calcare il parquet in un periodo in cui i giocatori italiani in serie A erano tanti e tutti di alto livello. Tuttavia, tra i miei compagni mi piace ricordare Silvano Motta, che ai tempi di Brescia, con semplicità e umiltà, mi ha trasmesso tutto il bagaglio tecnico, mentale e morale del buon professionista. Poi, tra gli stranieri, avendo visto da vicino due immensi artisti della pallacanestro come Oscar e Mike Mitchell (in foto a destra è il numero 6, Cavazzana il 4, Alberto Lo Duca l’11), non credo di dover pretendere altro”.

Futuro: quando ti vedremo in qualità di capo-allenatore?
“E’ un’ipotesi che per ora non ho preso in considerazione anche perché in una pallacanestro in cui il concetto di lavoro in staff è prevalente, e sempre più importante, il ruolo di assistente mi appaga al 100%. Però – conclude con un sorriso Vincenzo -, mai dire mai e, forse, l’occasione giusta verrà”.

 Massimo Turconi