Il Città di Varese non è stato direttamente toccato né dall’Ordinanza emanata da Attilio Fontana (che ha bloccato il dilettantismo lombardo) né dal nuovo Dpcm emanato da Giuseppe Conte, ma è inevitabile un commento del presidente Stefano Amirante su un argomento che sta facendo discutere parecchio: “Non invidio chi deve prendere queste decisioni perché è molto difficile capire cosa è giusto o sbagliato fare, ma non credo che l’ambito sportivo sia tra i più pericolosi. Tutte le società si sono organizzate per rispettare norme e protocolli estremamente rigidi, e trovo pertanto paradossale consentire di andare in palestra e, al tempo stesso, bloccare le scuole calcio: è più facile controllare venti ragazzini che si allenano sempre tra di loro rispetto ad adulti che lavorano, incontrano altre persone e si ritrovano per fare palestra”.

Pur avendo scongiurato lo stop totale, questa situazione quali effetti sta avendo sulla società? Come sta il Città di Varese?
“Il primo problema, non l’unico, è relegato al rinvio di alcune partite: per quanto siamo riusciti ad allenarci con continuità, viene logicamente a mancare il ritmo partita. Poi ci sono anche altri discorsi aperti perché ad esempio si sono dilatati i tempi per arrivare alla firma della convenzione e, di conseguenza, i lavori allo stadio e alle Bustecche non sono ancora iniziati”.

Procediamo con ordine: quanto manca alla firma?
“La firma è imminente, ma il Comune ha avuto anche altre cose di cui occuparsi per cui c’è stato un po’ di ritardo nella delibera della giunta. Non è una cosa che dipende da noi, dato che personalmente avrei voluto iniziare i lavori a settembre in modo da finirli entro dicembre, ma capisco che il Comune abbia anche altre preoccupazioni e appena la convenzione sarà firmata i lavori inizieranno”.

Le tempistiche di quanto potrebbero allungarsi?
“L’operazione più urgente riguarda la sistemazione della casa del custode perché al momento la sede operativa del Città di Varese è il mio studio legale, ed è pertanto necessario scindere i due ambiti. Oggettivamente è una casa abbandonata che va messa a posto; di per sé i lavori non porteranno via più di quindici giorni, per cui non appena si firmerà la convenzione avremo praticamente subito la nuova sede operativa. Poi, vista la situazione, sarebbe utile riaprire al più presto i distinti per poter fare affidamento su maggiori incassi e aumentare la capienza attuale di 193 posti: anche qui ci sono lavori da fare che non occupano chissà quanto tempo, ma senza la firma non possiamo cominciare ad agire”.

E per quanto riguarda le Bustecche?
“In questo momento non è più la priorità. Ciò non vuol dire che non faremo i lavori di ristrutturazione previsti, ma che non abbiamo fretta: iniziare il 10, il 20 o il 30 novembre non cambia nulla perché tanto entro la fine dell’anno non riusciremmo a terminare, e con eventuali nevicate rischieremmo di subire ulteriori rallentamenti. Siamo comunque ottimisti ed entro la primavera avremo la struttura ultimata a nostra completa disposizione. In più non dimentichiamo che siamo ben felici di continuare la collaborazione con la Valceresio e se sono così tranquillo da questo punto di vista è proprio grazie a loro che ci offrono una struttura di livello assoluto per allenarci. Nelle ultime settimane eravamo riusciti a conciliare alla perfezione i nostri allenamenti con i loro, e sono dispiaciuto dal fatto che l’ordinanza li ha costretti ai box. Ribadisco la nostra gratitudine alla Valceresio e se alle Bustecche avremo una struttura come quella di Brenno Useria sarò la persona più felice del mondo”.

Tornando al calcio giocato, come abbiamo detto prima, il fatto di aver saltato tre partite ha influito sulla condizione fisica della squadra. È chiaro che l’emergenza sanitaria rappresenti una situazione difficile, anche se purtroppo non nuova; a tal proposito il protocollo della Serie D potrebbe essere migliorato?
“È una domanda difficile. Secondo qualcuno dovremmo essere più simili ai professionisti, ma loro hanno degli obblighi che noi non possiamo giocoforza rispettare perché, ad esempio, non possiamo né fare tamponi ogni quattro giorni né creare ‘bolle anti-Covid’. L’unica cosa che può migliorare è la collaborazione con le Agenzie di Tutela della Salute: visto che la situazione sanitaria non può risolversi a breve, le ATS dovrebbero creare un canale preferenziale per chi fa sport, non solo calcio, in modo tale da velocizzare i tempi senza passare dal medico di base. Non dimentichiamo che i tamponi fatti fin qui sono stati pagati di tasca nostra…”.

Cosa può fare il mondo dei dilettanti per far sentire la sua voce?
“Il problema del dilettantismo è con lo Stato centrale, più che con la Regione; io percepisco totale disinteresse. L’altra sera Conte in televisione ha detto di voler fermare lo sport dilettantistico di base, definizione che non esiste, specificando poi di non preoccuparsi perché i professionisti sarebbero andati avanti: in pratica, stando a queste parole, dalla Serie D in giù tutto doveva bloccarsi. In realtà non è così, e ciò dimostra come le Istituzioni che si occupano di noi non conoscono come funziona e com’è organizzato il mondo dilettante. Il primo grande passo che il dilettantismo dovrebbe fare è pretendere che chi scrive le regole lo faccia sapendo realmente di cosa si sta occupando”.

Alla luce di queste riflessioni, c’è più ottimismo o pessimismo sul futuro dello sport in generale per questa stagione?
“Impossibile dirlo perché dipende dalla filosofia che sta dietro le scelte di chi fa queste regole. Francamente non capisco molti dei provvedimenti che stanno attuando: non capisco perché tenere aperte le palestre di zumba e chiudere quelle di basket, non capisco il senso di chiudere i ristoranti alle 24 e non capisco il senso di impedire a una persona di comprarsi una bottiglia di vino dopo le 18.00. Secondo me lo sport professionistico non andrebbe mai fermato perché ha le risorse organizzative ed economiche per andare avanti in qualunque situazione. Per quanto riguarda i dilettanti basterebbe distinguere con più coscienza il mondo di cui si parla, cosa che di fatto non avviene. Questo porta all’illusione di educare il popolo”.

In che senso?
“Lo Stato può decidere cosa è giusto o cosa è sbagliato, distinzione che nello sport pesa tantissimo. Io posso giocare a tennis per svago e se questo mi viene impedito a me non cambia nulla, ma quante sono le persone che vivono con il tennis? Chi mi dà il campo, gli istruttori, chi fa racchette e palline e via dicendo. Chi ha deciso che lo sport dilettantistico non è importante? La risposta è: chi non ci lavora. La situazione contemporanea ci ha dimostrato che manca la conoscenza del problema: non c’è alcuna evidenza statistica che possa individuare lo sport dilettantistico come un mezzo di contagio più grave di altri. Anzi, secondo me c’è un’incidenza minore nello sport, e di fatto ci troviamo in una situazione punitiva senza apparente motivo. Sembra quasi che si voglia far sentire in colpa chi fa sport”.

Ed è effettivamente così?
“Faccio un esempio. Per azzerare gli incidenti stradali basterebbe vietare le auto: sarebbe un provvedimento incomprensibile e inaccettabile, ma porterebbe immediatamente al risultato. Vietare ai bambini di giocare a calcio è incomprensibile e inaccettabile, ma soprattutto non implica lo stop dei contagi. In sintesi: vieti l’auto? Zero incidenti. Vieti ai bambini di giocare per fermare il contagio? Nessun risultato. Prima di sacrificare certi diritti bisognerebbe capire perché lo si vuole fare”.

Concludiamo sdrammatizzando perché domenica, salvo imprevisti, si gioca. Tre partite allo stadio e tre sconfitte: lo scorso anno in Terza Categoria contro il Don Bosco (4-5), quest’anno in Serie D contro il Pont Donnaz (0-1) e ha perso anche la Juniores contro la Vis Nova Giussano (0-1). L’Ossola sembra stregato. Come si sfata questo tabù?
“Vincendo (ride). A parte gli scherzi non possiamo parlare di tabù perché si tratta di partite diverse tra loro e ben distanti nel tempo. L’Ossola fa parte della storia del Varese e torneremo a vincere. È già una vittoria essere tornati a giocarci; a tal proposito voglio ringraziare tutti i volontari, a partire da chi c’era già l’anno scorso, perché senza di loro non riusciremmo nemmeno ad aprire lo stadio. Tornando alla squadra, mi aspetto di fare passi avanti nel gioco e di portare a casa punti importanti perché dobbiamo muovere la classifica. Dobbiamo migliorare, serve tempo, ma ritengo di aver creato una struttura tecnica affidabile che ha tutte le carte in regola per fare sempre meglio. Dal canto mio, io vado solo a soffrirmela in tribuna e a fare il tifo”.

 Matteo Carraro

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