L’allenatore della Pallacanestro Varese Attilio Caja racconta il momento che sta attraversando il mondo del basket, fermato dall’emergenza Covid-19 e quanta incertezza ci sia sul futuro.

Quanto è preoccupato da questa situazione?
“E’ difficile stare tranquilli in questa situazione, anche perché stando in casa si è soggetti al continuo aggiornamento mediatico sul tema, giustamente, perché fa parte del servizio sociale che i media devono fornire e vedere i numeri e le notizie che ci sono in merito al virus crea ansia e preoccupazione. Dall’altra parte c’è la consapevolezza di essere nelle mani di gente capace, con un sistema sanitario nazionale e lombardo, nel nostro caso, di alto livello, con medici e strutture pronte a fronteggiare questo momento con tutte le loro forze. E’ importante riuscire a riscoprire un po’ di senso civico e rispettare le direttive che gli esperti ci danno e che dà il governo per fare tutti la nostra parte e uscire insieme da questo periodo di emergenza, nel rispetto e nella lode di chi tutti i gironi negli ospedali si sacrifica per il bene di tutti noi”.

Cosa pensa in merito al possibile stop definitivo del campionato?
“Oggi è difficile pensare ad una ripresa in tempi brevi, stando a quanto si sente dai virologi, come il primario dell’ospedale Sacco di Milano o il dott. Burioni, che parlano di una risoluzione della pandemia dopo mesi e anche quando si risolvesse la situazione si tornerebbe a giocare a porte chiuse. Quindi io mi chiedo se abbia senso tornare a giocare a maggio per farlo a porte chiuse. E’ vero che in Cina stanno ipotizzando di ripartire con il loro campionato a metà aprile, ma da loro l’epidemia è partita a dicembre, quattro mesi prima e ripartirebbe a porte chiuse. Io condivido la considerazione del presidente della Federazione Petrucci che diceva che una partita a porte chiuse non è sport, in riferimento alle gare di Eurolega disputatesi senza pubblico. Nel calcio è diverso perché vi sono interessi economici diversi e anche a porte chiuse gli introiti televisivi sono quelli che tengono in piedi il sistema, come avviene per il basket in Spagna con i due grandi sponsor del campionato che sono motori delle società. In Italia per il basket non è così a livello economico purtroppo e giocare senza pubblico ha poco senso”.

Quali erano le sue sensazioni sullo stato di forma della squadra prima dello stop e come la squadra si stava evolvendo dopo i cambi dei due americani?
“Come fosse la squadra, ora faccio una battuta, non ce lo ricordiamo neanche più perché, ahimè, parliamo di due mesi fa come ultima gara ufficiale disputata. Io sono uno molto pratico e concreto, le chiacchiere stanno a zero: a gennaio abbiamo fatto le migliori gare della nostra stagione in trasferta. In casa abbiamo mantenuto il trend avendo battuto Trieste, ma, rispetto al nostro rendimento esterno, le partite di gennaio con la vittoria di  Treviso e le sconfitte all’ultimo secondo con Sassari e la Fortitudo Bologna hanno dimostrato come la squadra dopo un periodo iniziale di assestamento fisiologico essendo una squadra nuova, stava trovando i giusti automatismi anche in trasferta. Non so come si presenterebbero le squadre tra due mesi alla ripresa del campionato, perché come da noi sono andati via dei giocatori, anche in altre società ci sono state delle partenze degli stranieri che sono tornati in patria dalle loro famiglie. E’ molto complicato ipotizzare come possa essere la situazione al momento di un eventuale ripresa”.

Nel caso in cui si riprenda il campionato, nella migliore delle ipotesi avendo quindi battuto il virus in tempi brevi, come si recuperano mentalmente dei giocatori che hanno staccato completamente da quella che era la loro quotidianità lavorativa?
“Tutto giusto. Sarebbe importantissimo tornare a giocare in tempi relativamente brevi non tanto per la pallacanestro, quanto perché vorrebbe dire essere riusciti a configgere questo virus e questa sarebbe la più grande vittoria e saremmo usciti da questo periodo buio. Com’è cambiato il mondo dopo l’11 settembre, avremo un mondo pre virus e post virus. Pensare a come le squadre sarebbero formate, oggi è difficile. I giocatori che sono andati via avrebbero voglia di tornare? Il paese dove sono loro, parliamo soprattutto degli USA, sarebbe fuori pericolo? Li lascerebbero tornare? E poi sicuramente recuperare l’aspetto mentale sarebbe molto molto più difficile rispetto all’aspetto fisico. Ma passerebbe tutto in secondo piano se gli scienziati e medici ci dovessero dire che siamo fuori pericolo e si potesse abbozzare a tornare a vivere la normalità anche tramite una partita di basket. Tutti i problemi si risolvono dopo questo, anche l’affrontare le problematiche legate alla prossima stagione e come sarà condizionata. Questa situazione ha fatto capire che la vita di tutti noi può essere stravolta da un momento all’altro e ci fa capire quali siano le cose davvero importanti al mondo”.

Una nuova stagione con Attilio Caja  sempre sulla panchina di Varese?
“Sicuramente, da parte mia non c’è il minimo dubbio”.

Alessandro Burin