La seconda ondata del coronavirus è arrivata, puntuale precisa e dirompente. Tutto ciò che 6 mesi fa, alla fine del primo grande lockdown scaturito dalla pandemia, sembrava solo un brutto ricordo da lasciarci alle spalle, sta tornando in maniera decisa e senza guardare in faccia nessuno.
Così ci ritroviamo ad attendere con ansia la sera il bollettino dei contagi, dei morti e dei nuovi posti occupati nelle terapie intensive. Torniamo ad aspettare il discorso del premier Conte sul nuovo DPCM e sulle misure restrittive che verranno adottate per arginare il virus. Tutti i settori del nostro vivere quotidiano tornano ad essere colpiti e con essi anche lo sport, soprattutto quello amatoriale.
Perché se per lo sport agonistico protocolli, questione economica e di status portano verso un tutto per tutto pur di continuare e non bloccare il movimento, per quanto riguarda lo sport amatoriale la stretta è rapida, decisa e non ammette deroghe.

Così fino al 13 novembre tutte le manifestazioni che prevedano sport di contatto a livello amatoriale sono bloccate in Lombardia, con il mondo del CSI che si deve fermare dopo essersi prodigato per far ripartire tutto il movimento in sicurezza. Marco Valvassori, Consigliere provinciale e di presidenza, nonché responsabile CSI della zona di Gallarate e membro determinante del direttivo della società CDG della città dei due galli, racconta la situazione, gli sforzi e le prospettive di un movimento importantissimo a livello socio-educativo, ancor prima che sportivo.

Com’è la situazione del CSI a livello provinciale dopo l’ultima ordinanza?
“Sicuramente è un momento complicato e delicato. Le società sono dubbiose e preoccupate; parlando soprattutto del calcio, è difficile impostare allenamenti che prevedano 2 metri di distanza tra i ragazzi, soprattutto i piccoli. A livello di responsabilità, è il legale rappresentante che si assume tutto l’onore, con il rischio di multe ed anche qualcosa di più nel caso in cui non vengano rispettate tutte le norme di sicurezza. A livello di zona di Gallarate nessuna società ha intenzione di riprendere l’attività, anche se oggi ci dovrebbe essere un Consiglio dal quale dovrebbero arrivare indicazioni precise per chi volesse riprendere gli allenamenti”.

Guardando al futuro, lei vede un prolungamento di queste restrizioni?
“Fino al 13 novembre non si può fare granché e i campionati sono fermi. Il dopo è un bel punto di domanda, è difficile ipotizzare una ripresa come era prima o sulle stesse basi su cui ci si è mossi a settembre. Il CSI ha una pausa che va da metà dicembre fino a fine gennaio e, pensando sia impossibile ripartire dal 14 novembre subito con campionati e partite, visto il normale periodo di ripresa che ci vuole per atleti e società, secondo me nella migliore delle ipotesi sfrutterei la pausa invernale per cercare di riprendere a febbraio in maniera seria e fatta bene, senza dover vivere sul chi va là. Ad oggi penso che molte società ci penseranno molto ben prima di riprendere, per le conseguenze a cui si va incontro nel non rispetto dei regolamenti e poi perché portare i ragazzi a fare attività sportiva in queste condizione e con queste regole è davvero difficile”.

Lei è la figura di riferimento per il CDG Gallarate. Quali tappe avete seguito per riorganizzare tutta la ripresa fino all’ordinanza?
“Noi come CDG lavoriamo da luglio sulla ripresa, dietro alla quale c’è tantissimo impegno ed organizzazione. Ci sono membri del nostro direttivo che hanno partecipato a corsi online del CSI che si chiamano SAFE SPORT, basati sulla ripresa degli allenamenti in sicurezza, corsi sui quali abbiamo speso delle cifre importanti. Per seguire tutte le normative, abbiamo acquistato il gel igienizzante, il materiale per mettere in sicurezza e sanificare gli spogliatoio e tutto ciò che serve all’attività. Una spesa non solo economica ma anche di impegno delle singole persone. A questo si aggiunga tutto il lavoro nella prima fase di ripresa, sull’accoglienza dei ragazzi, il controllo delle certificazioni ed il far rispettare le regole agli allenatori per filo e per segno per la sicurezza di tutti”.

C’è la possibilità di una riorganizzazione dei campionati alla ripresa?
“No. Ho partecipato a molti consigli provinciali online in questi mesi e ci sono tante opzioni preparate: dalla migliore che poteva essere quella di ripartire a settembre e proseguire tutto l’anno oppure partire più tardi con il pericolo di uno stop. Il CSI Nazionale ha dato come direttiva principale di terminare i campionati territoriali, quindi regionali e zonali. Le partite che adesso sono state rinviate andranno tutte in coda al campionato. Così facendo un campionato provinciale che dura solitamente fino ad aprile, potrebbe durare fino a giugno o luglio e spostare i regionali ed i nazionali a settembre, che è un’altra ipotesi sul tavolo”.

Ci sono società che rischiano di non ripartire più?
“A settembre quando abbiamo cominciato, tutte a parte una o due sono ripartite. C’è stato un calo delle squadre a livello provinciale, ma molto ridotto, soprattutto parlo delle squadre dall’età dalle superiori agli Open. In provincia parliamo soprattutto di un calo a nord della provincia, nella nostra zona molto meno. Adesso secondo me non vedo società che possano non ripartire perché comunque parliamo di società di oratorio che anche con mille difficoltà riescono a riprendere. Se parlassimo invece di FIGC è più complicato per obblighi economici che hanno. Credo che bene o male si ripartirà con qualcuno che farà molta più fatica, non tanto a Gallarate, quanto a nord della provincia. Tra Varese e Besozzo, lì stanno facendo e faranno molta fatica”.

Ci sono stati casi Covid a livello provinciale legati all’attività del CSi e se pensi che questo blocco dell’attività a livello amatoriale sia sato giusto o solo una toppa ad una piccola falla di tutto il problema?
“Ci sono stati dei casi ma non legati all’attività sportiva, bensì a situazioni esterne. L’attività provinciale alla prima giornata ha visto un quarto delle partite rinviate per casi covid, ma nessuna società è stata chiusa dalle ATS per positività riscontrate a causa dell’attività sportiva. Ovviamente lo sport amatoriale non è la causa scatenante di tutto ma è altrettanto vero che con i numeri che ci sono in giro adesso era difficile andare avanti. Le preoccupazioni delle persone incominciavano ad essere vere e serie. Secondo me è stata una scelta amara ma giusta”.

Alessandro Burin

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