E’ difficile, quasi impossibile scrivere quando si è troppo coinvolti. Si rischia di essere troppo freddi e distaccati oppure di cadere nel banale e nella retorica. Questo mi è successo quando ho voluto scrivere del risveglio dal coma di Vito Romaniello, questo mi succede tutte le volte che scrivo di lui e di quella situazione. L’amicizia ‘fraterna’ che ci lega nasce da un percorso di 35 anni. Anni in cui la sua spalla è stata sempre pronta per la mia testa quando c’era bisogno e viceversa. La fortuna ha voluto che siano più i momenti belli da ricordare che quelli brutti condivisi da cancellare, ma quel particolare momento, gli 86 giorni vissuti lontano ci hanno uniti ancora di più.

Ecco che ora si può ironizzare sul suo peso, che come una tassa sta tornando, o sul vagone del treno pieno dove tutto ha avuto inizio. Vito è sempre stato un entusiasta nelle cose che fa, ci mette professionalità, passione e testardaggine nel portare avanti ogni sua iniziativa. Questo gli consente di raccontare quello che gli è accaduto come se stesse parlando di un’altra persona, come se stesse facendo una telecronaca o se stesse realizzando il video di una bella storia di Coronavirus finita bene di un varesino.

Con questo stile e con la sua inconfondibile mano e professionalità ha realizzato un video a lieto fine della brutta storia di Coronavirus di un varesino qualsiasi. Come non fosse lui, e non è un caso se un’autorevole testata come il The Guardian lo scorso 9 aprile, ha utilizzato una foto dell’Ospedale di Varese proprio con Vito. Quella fra migliaia che avrebbe potuto scegliere. “E’ tutto scritto”, diceva mister Beppe Sannino. E forse è proprio così.

Michele Marocco

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