L’unica certezza è che le generazioni future sapranno esattamente cosa ha combinato questo “maledetto”, quante persone si è portato via, quanta sofferenza ha seminato. Questo grazie alla tecnologia che lascerà testimonianze precise su quanto accaduto. A chi verrà dopo di noi basterà un “clik” per avere tutte le info relative a questo tsunami sanitario che ci ha investito. Forse sarà più complicato sapere COME è potuto accadere tutto ciò, cosa che ad oggi pare abbastanza difficile e complicata, viste le agghiaccianti ipotesi che si sentono in giro…

Per parte nostra Il “maledetto” ci ha portato a conoscere tante donne e tanti uomini che abbiamo voluto chiamare “eroi silenziosi”, indicando con questa definizione coloro i quali, nel loro lavoro, hanno dovuto abituarsi a convivere con il timore (eufemismo che molto spesso cela la paura vera e propria) che si accompagna al venire a contatto giornalmente con decine e a volte centinaia di persone. Tra di loro vi è Luigi con la sua “Lavalampo”, lavanderia aperta a Varese da più di vent’anni anni e precisamente nel rione di Casbeno, a pochi passi dalla Stazione ferroviaria.

Lavanderia2Le lavanderie non hanno subito restrizioni in termini di chiusura?
“Di fatto no, sin dagli inizi dell’epidemia, l’allegato due del primo decreto delle Regione Lombardia ci dava la facoltà di restare aperti al pubblico, naturalmente con le precauzioni necessarie in termini di numero di persone ammesse all’interno del negozio, oltre agli altri dispositivi di protezione. Va però detto che in quel momento le informazioni relative alla nostra apertura date alla popolazione non sono state chiarissime, purtroppo questo ha segnato un immediato calo del lavoro… e calo è davvero un eufemismo. Le prime settimane sono state davvero dure”.

Ora com’è la situazione?
“Ora arrivano notizie più chiare sugli esercizi che possono rimanere aperti, anche se vi è da parte della clientela il dubbio legato alla effettiva possibilità di venire da noi. C’è di fatto una certa confusione… se siamo aperti significa che possiamo lavorare ma per lavorare la gente deve venire da noi ma non è chiarissimo se il venire da noi sia una motivazione “tollerata” da chi controlla gli spostamenti. Oltretutto per noi questo rappresenta (o meglio… rappresenterebbe) un periodo di “alta stagione”, cosa che evidentemente ci possiamo dimenticare e che naturalmente non potremo recuperare. Una parte del nostro lavoro è anche legato agli indumenti indossati dalle persone nel loro lavoro, penso per esempio agli abiti per gli uomini. Ora lo smart working ha cambiato anche queste “abitudini del vestire”. Chi rimane a casa per lavorare al computer non si mette in giacca e cravatta. Non possiamo fare altro che aspettare e sperare nella ripartenza, con l’incognita di come tutto ciò avverrà; come e con quali modalità la gente potrà muoversi, come saranno fissate le regole per svolgere questa o quella attività”.

Vi è da parte della Clientela, qualche richiesta in termini di trattamenti particolari?
“Anzitutto va detto che tutto ciò che esce dal processo di lavaggio a secco è anche sanificato. Sicuramente ci vengono portati dei capi che non rientrano nella normale routine ma che questo periodo di forzata permanenza a casa, fa “riemergere” da bauli o armadi”.

Che impressione trae dallo stato d’animo dalle tante persone che entrano giornalmente?
“Direi che il pessimismo sta lasciando il posto alla rassegnazione. L’incertezza su quelle che saranno le decisioni di chi ci governa non può che creare un comprensibile smarrimento che speriamo davvero possa risolversi quanto prima”.

Ambrogio Baj