Aprire il cassetto dei sogni e vederli volare via, alcuni hanno preso forma, altri vanno a caccia di nuovi lidi. Osservare quel cassetto e sentirsi leggeri, stranamente felici, orgogliosi. Ti fermi un attimo a riflettere e ti chiedi dove siano finiti tutti i sogni degli ultimi cinque anni, chiudi gli occhi e provi anche a riviverli.
Un sospiro di sollievo, c’è da prendere fiato e raccontare una storia. La storia è quella di un ragazzino cresciuto in un paese di 12 mila anime che amava giocare a pallone, come tanti, e che sognava di trascorrere infinite domeniche su quel campo da calcio accerchiato dagli amici di sempre.
A pensarci è andata proprio così. E questo Ivan Mastromarino lo sa bene. E lo sa bene anche Fagnano, la sua Fagnano, la Fagnano che lo ha applaudito, sostenuto, “cazziato”, che con lui ha riso e pianto. Ma anche fatto la storia.
Cinque anni fa c’era una squadra in seconda categoria che non riusciva a fare il salto, che comprava “campioni” ma aveva uno strano meccanismo inceppato, il motore di una Ferrari e la resa di una Panda del ’92. La storia, probabilmente, ha avuto inizio lì.
“Se mi guardo indietro non so neanche da dove partire…” afferma Ivan.
Allora, semplicemente, partiamo dall’inizio.
“Mi hanno chiesto di sposare il progetto Fagnano per dare una mano ad una squadra che sognava la prima categoria e al primo anno abbiamo costruito un gruppo che ha saputo vincere subito e dare il là ad un ciclo”.
Il ciclo si espande, appunto, in prima categoria: altre due stagioni di record.
“Abbiamo fatto una finale playoff al primo anno, persa con la Belfortese dopo una bella cavalcata, ci abbiamo riprovato il secondo anno e abbiamo vinto il campionato, un’emozione indescrivibile, un paese intero al di fuori della rete lì per noi, una vittoria fatta di mille sacrifici, di abbracci, a ripensarci mi emoziono ancora, il Fagnano, il mio paese che vola dove non è mai stato”.
E voilà la promozione: e da qui, forse, parte il calvario
“Il primo anno in promozione è stato un anno durissimo, pieno di difficoltà, ci siamo ricompattati al massimo ed abbiamo raggiunto una salvezza insperata, quest’anno è stato un calvario, un’annata complicata sotto ogni punto di vista, ci ha salvato il covid, questo dice già tutto”.
Fagnano ultimo in classifica, retrocessioni bloccate, tutti salvi, ma c’è dell’altro…
“Esatto, il covid mi ha regalato una salvezza ma mi ha tolto Fagnano, Fagnano non esiste più, c’è stata una fusione con l’Olgiatese ed è nato il Valle Olona, e qui si apre tutto un altro capitolo”.
Raccontaci questo capitolo dal tuo punto di vista, dal punto di vista di uno che in realtà si è trovato a fare i conti con un finale amaro.
“Penso in tutta onestà che sia stata una scelta fatta soprattutto per il discorso giovanile, ed effettivamente si tratta di una scelta oculata, sensata, anche giusta, ma quanto alla prima squadra? Cosa ci ha guadagnato il Fagnano? Io non vedo vantaggi, non vedo nemmeno organizzazione, vedo solo grossi limiti”.
Cosa ti fa più rabbia di questo?
“I modi, c’è il silenzio, un telefono che non suona. Il calcio è fatto di scelte, tutto ci può stare, però una chiamata dopo cinque anni così te l’aspetti, un “parliamo”, un grazie, come si fa a sparare a zero su questo gruppo, su persone che hanno dato tutto, che sono rimaste quando le cose stavano crollando…“Tanto siete già altrove”, ma cosa significa? La gente dimentica in fretta il sacrificio degli ultimi anni, io sono uno che parla sempre con tutti, che gioca per la cena del giovedì, per gli amici, per la squadra del mio paese, per la maglia, ha prezzo questo? Ho 28 anni e ancora tanta voglia di giocare ma quello che dovevo fare l’ho fatto e non ho mai preteso nulla, un grazie, ecco un grazie come punto esclamativo di cinque anni irripetibili, questo me lo meritavo io e se lo meritavano altri ragazzi che come me hanno giocato per i colori, per la maglia, per di più dopo quello che abbiamo vissuto in questo periodo i valori dovrebbero emergere ancor di più, invece non è stato così, o forse non è stato così per tutti”.
Zero rimpianti?
“Zero, col Fagnano io ho zero rimpianti. Se mi guardo indietro so cosa ho fatto di bello e di brutto, ma non ho rimpianti. I miei rimpianti legati al calcio fanno rima con Besnatese, dove ho sicuramente ricevuto più di quello che ho dato”.
Al di là del finale se sfogli l’album dei ricordi, cosa vedi?
“Vedo degli amici, in primis, un gruppo unico, vedo un sacco di emozioni, vedo due campionati vinti, una finale playoff, una salvezza, vedo un gol nel derby al Gorla, decisamente uno dei miei momenti più belli, vedo le domeniche al campo, le incazzature, le lacrime, i post partita con gli amici di sempre, e quegli amici lì a tifare per me, per noi, vedo casa mia, ecco, in sintesi vedo casa mia, cinque anni così, una figata”.
E la lista dei grazie? Come la compili?
“Grazie a Gianni Riccio, non posso non nominarlo, ha fatto di tutto per me, dal prendermi a parole al coccolarmi, mi ha visto crescere, diventare uomo, gliene sono grato, grazie a Daniele Ganna e a Matteo Gadda, praticamente il mio “psicologo”, grazie al presidente Macchi che non ci ha mai fatto mancare nulla, ai miei amici, alla mia fidanzata che ha vissuto con me gli anni della promozione, ai miei compagni di questi anni, tutti, ma devo citare il mio primo capitano Ferrario, poi Denis Manuzzato, Mattia Manuzzato, Paolo Crea, Andrea Battagion, Andrea Vacirca, con loro si è creato qualcosa di ancor più speciale, sono amici veri, lo ripeto, abbiamo scritto la storia di Fagnano e ne sono, ne sarò sempre orgoglioso, chiudo la porta e mi lascio tutto alle spalle, ma quella sarà sempre casa mia”.
Chiusa la porta, non prima però di chiudere il cassetto, quel cassetto, quello dei sogni di un bambino, di fagnanese doc, non c’è più posto? Forse sì, solo un pezzetto. Maglia numero quattro in mano, quello stemma sul petto e quei colori, Ivan Mastromarino la ripiega e la mette lì. The end.
Mariella Lamonica