Fremere. Non stare più nella pelle. Non vedere l’ora. Mordere il freno. E altre similitudini ancora. Tutte queste frasi sono perfette per descrivere lo stato d’animo di Giancarlo Ferrero, capitano dell’Openjobmetis Varese il quale, come noto, è bloccato a casa da una decina di giorni, “inchiodato” sul divano a causa di un tampone positivo al coronavirus. Ferrero, in realtà, al secondo controllo è risultato negativo, al pari di coach Vincenzo Cavazzana, assistente di coach Massimo Bulleri. Ora, il capitano biancorosso per tornare ad allenarsi e poi sul parquet per le partite deve solo attendere  l’espletamento di tutte procedure sanitarie di secondo livello. E, intanto, mordere il freno.
“Una situazione davvero insolita perchè sono sempre stato asintomatico, in buona salute e in forze ma – dice Ferrero – mi rendo conto che in caso di positività c’è tutta una trafila da osservare e rispettare fino all’ultimo passaggio. Detto questo, spero che in tempi rapidi arrivino dai medici tutte le autorizzazioni indispensabili per riprendere perchè rimanere a guardare i miei compagni che intanto giocano è solo una grandissima rottura”.

Giocano e, sottolineato in rosso, vincono: ti aspettavi un inizio così scoppiettante?
“In tutta sincerità: non me l’aspettavo, ma allo stesso tempo non ne sono sorpreso perchè – spiega Giancarlo -, oltre ad un normale livello di fiducia, avevo sensazioni positive rinforzate dalla crescite esponenziale mostrata dalla squadra nel corso della Supercoppa. In quella serie di partite ho visto il gruppo aggiungere di volta in volta un tassello al gioco, alla mentalità, al modo di tenere il campo, alla tenuta complessiva. Così, sulla base di questi miglioramenti avevo la netta impressione che avremmo fatto bene e così è stato, soprattutto contro una squadra come Brescia sulla carta superiore a noi e considerata favorita dai pronostici. Queste buone vibrazioni, unite alla voglia di ricominciare e alla motivazioni di tutti hanno prodotto due gare vincenti ma, in particolare, consistenti sul piano caratteriale e mentale”.

Perchè sottolinei questo aspetto?
“Semplicemente perchè, al di là degli aspetti tecnici e tattici, credo che la “garra”, l’aggressività, la voglia di giocare sempre con intensità siano le più belle qualità della nostra squadra. Nel gruppo c’è un’atmosfera bellissima e coinvolgente fatta di collaborazione e grande fiducia reciproca perchè tutti quelli che vanno in campo sono pronti a dare qualcosa e, meglio ancora, sanno di poterlo fare”.

Il gruppo, lo sanno tutti, è già passato attraverso lo “tsunami” provocato dal cambio di allenatore: che giudizio ti senti di dare rispetto a questa situazione?
“Nel merito ho poche considerazioni da fare: non è cambiata la filosofia generale e, sotto il profilo tecnico-tattico, coach Bulleri ha giustamente mantenuto alcune idee relative alla gestione di coach Caja. Però è cambiato, ed è diverso, il livello di energia durante gli allenamenti. Attenzione non più alto o più basso, bensì molto diverso. Bulleri ha certamente cambiato volto al gruppo e noi, insieme a lui, direi che siamo stati bravi nel voltare subito pagina. Anzi, per essere più precisi, nel cambiare completamente “libro””.

Immagino che in questi cambiamenti abbia svolto un ruolo fondamentale Luis Scola.
“Scola è un campione fenomenale che, ovviamente, dall’alto della sua incredibile esperienza, ci ha aiutati ad imboccare senza traumi la strada giusta. Tuttavia, devo dire che il bello di allenarsi e frequentare Luis è quello che impariamo da lui in ogni seduta di allenamento perchè oltre ad avere un’etica di lavoro straordinaria, dimostra quotidianamente che essere campioni non è mai frutto del caso, ma il risultato di una lunga e costante applicazione, oltre che di un metodo di lavoro che abbraccia a 360 gradi l’essere giocatore. Quindi: cura meticolosa dei dettagli, del proprio corpo, dei rapporti dentro e fuori lo spogliatoio, di tutto ciò che succede in allenamento e in partita e tanto altro. Insomma, per essere ancora più chiari: se a 40 anni Scola “ancora la spiega”, le ragioni sono tante e la più importante credo sia la “testa””.

E se la “testa” conta sempre, un match speciale come il derby ne rappresenta l’apoteosi.
“Da sei stagioni sono a Varese e anno dopo anno ho capito, qualche volta sulla mia pelle, quanto è importante e sentita questa gara che, senza mezzi termini, rappresenta “el partido”. Da capitano, anche se per ora non giocatore, ho già avvisato tutti i miei compagni circa l’importanza di questa gara. Ho mandato loro messaggi, emoticon e fatto mille telefonate invitandoli, anzi, obbligandoli a tenere elevatissimo il livello emotivo e alta la tensione. Perchè Varese se lo aspetta. Perchè il pubblico, anche se saranno solo 700 i fortunati, se lo aspetta, lo vuole e lo pretende. Ma non nutro dubbi sul fatto che scenderemo in campo caricati e prontissimi”.

Tecnicamente invece che derby sarà?
“Essendo a riposo e lontano dagli allenamenti non posso sapere quale sarà il piano-gara preparato dallo staff tecnico ma, intuitivamente, penso non si discosterà molto da quello che abbiamo già fatto in Supercoppa. Quindi, tenere ben strette le briglie sul collo di Cantù, squadra velocissima, molto attrezzata dal punto di vista fisico e atletico, abituata a correre lungo tutto il campo e pericolosa quando può produrre i suoi strappi e le folate in campo aperto. Noi dovremo giocare con lucidità tutti i possessi, gestire bene il ritmo di gioco, difendere fortissimo su Smith, “faro” del gioco canturino, e avere sempre equilibrio tra attacco e difesa. Ci attende una gara durissima che, non è una novità, avrebbe meritato Masnago da “tutto esaurito”, ma – conclude fiducioso “El Capitan” – sono anche sicuro che i settecento di domenica saranno con noi dal primo a quarantesimo come fossero settemila”.

Massimo Turconi

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