Qualcuno, in maniera un po’ tranchant, dice che nel mondo della pallacanestro esistono solo 2 livelli di gioco: l’iperprofessionismo di Le Bron, Kevin, Giannis e Steph e l’iperdilettantismo di Edo, Mauro, Bicio, Rudy, Giorgio, Fabio e compagnia. Il resto, tutto quello che c’è in mezzo, sono solo imitazioni. Liberi o meno di condividere questo pensiero, ovviamente. Però, al di là delle considerazioni tecniche, alcuni punti in comune tra questi 2 mondi, solo in apparenza lontanissimi, ci sono. Passione, sudore, tenacia, resistenza e resilienza e amore, infinito amore, per il gioco.
Questi elementi caratterizzano, e uniscono, i Lakers, i Nets, I Bucks, gli Warriors ai “ragazzi” della Fulgor Varese.

Qui di seguito, il diario pre-covid di uno di loro. Una pagina che, in occasione delle feste vuole essere un augurio generale a tutto il “pianeta pallacanestro”. Una pagina che, nell’annuncio del ministro Spadafora relativo ad un prossimo ritorno in palestra (via libera il 16 gennaio 2021?? Vedremo…), vorrebbe essere qualcosa in più di una speranza. Vorrebbe essere una PREGHIERA. Perchè, è giusto lo si sappia, noi senza pallacanestro non possiamo proprio stare.  

Piove. Fa freddo. Oggi è stata lunga. No, stasera non vado. Mi metto quieto sul divano. Vado a letto presto e recupero. Invece vado. Ho voglia di vedere i ragazzi, i miei compagni di squadra. Però, è un po’ presto per andare all’allenamento. Meglio, mi muovo prima, così mi cambio con calma e faccio un buon riscaldamento. Ne ho bisogno. Entro in palestra. Rumori di palloni che rimbalzano. Vedo ragazzi che corrono e genitori annoiati o apprensivi in tribuna. Del resto, dopo una vita trascorsa nel basket, quante volte ho visto queste situazioni. Scendo in spogliatoio. “Ciao Presidente!”.

Piano piano arrivano tutti. Belli carichi. Ecco, il campo è libero. Muovo bene il collo e sto attentissimo alla schiena. Provo un po’ di cambi di mano e direzione. 

Dai, ancora un allungamento 

“Ciao! Com’è al lavoro? 

Uhm, questa sera mi fa un po’ male il ginocchio. Provo tre terzi tempi di destro. “Buonasera grataculiiii, comodi, ehhh” 

Dopo un paio di tiri da fuori, ecco la solita amara autoriflessione: “Niente, non ci sono speranze. Non salto proprio più”, ma siccome arrendermi non fa parte del mio vocabolario, ostinatamente provo qualche arresto e tiro.

“Hai visto l’Inter ieri sera?” 

Ecco. I ragazzi stanno facendo le squadre. Sarò giallo? Sarò blu? Vedremo. Intanto i dolori stanno pian piano scomparendo e, sotto la maglietta, sento scendere le prime gocce di sudore. Dio che meraviglia. Ci siamo. Si comincia. Senza palla a due, ovviamente. Chi ha perso il “bim, bum, bam”per iniziare a fare le squadre, ha diritto al primo possesso. E’ una regola. Le prime azioni, nonostante l’enorme sforzo collettivo vanno via a ritmo sincopato e la nostra pallacanestro, sempre nonostante gli sforzi, è come il mare d’inverno. Poi, quando tutte le giunture, come fossero un invisibile domino si sono messe in moto, ecco che arrivano canestri di livello e azioni niente male. Adesso sì che si corre, oddio!, corre. Esagera nooo! Adesso sì che si cammina ad una certa velocità. Adesso sì che nel pieno della “bagarre” agonistica ci sentiamo avvolti, coinvolti, sconvolti e travolti dal dolce “nirvana” del basket. 

Un qualcosa che ci tiene uniti. Un qualcosa che assomiglia molto ad un legame fortissimo. E invisibile, ma ognuno di noi sa che c’è. E sa che cos’è. Un qualcosa che se non lo hai mai provato è difficile da spiegare e da rendere a parole.

E, intanto, azione dopo azione, tutto il resto che c’è fuori per due ore scompare, non esiste più. Conta solo essere lì, in palestra. Conta solo ricordarsi di essere stati giocatori. Conta solo provarci, sempre. Contano solo quei palleggi che, dopo qualche minuto, anche se è incredibile da credere, vanno al ritmo del tuo cuore.

E’ giovedì, finalmente l’allenamento. E’ giovedì, grazie ai miei compagni di squadra. Grazie, Fulgor.  

Massimo Turconi

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