Dicono che la speranza sia gratis. E’ giusto tenerla viva”. Per Giovanni Fietta la fiducia è sempre stata l’apriscatole dei momenti di crisi. In campo, ma soprattutto fuori. Cioè (attualmente), con moglie e figli nella casa di Lipomo. In attesa di andare oltre il lockdown. “Stiamo riscoprendo la bellezza delle cose semplici. Condivido il pensiero di chi dice che ci è stata tolta la normalità. Una volta finita questa emergenza sapremo apprezzare anche la quotidianità. Lasciando da parte la tendenza umana a lamentarsi sempre. Credo che ne usciremo migliori”.

Andiamo controcorrente. La vulgata vorrebbe la categoria dei calciatori avida e poco consapevole della profonda recessione che ci attende nei prossimi anni. Ma è anche l’unica che sta affrontando pubblicamente il tema dei tagli salariali. Non si hanno notizie di comportamenti analoghi in categorie altrettanto privilegiate. Pensiamo a manager o vertici aziendali…
“Sono pienamente d’accordo. I calciatori hanno dimostrato anche prima di altri di essere sensibili e solidali di fronte alle emergenze. Vedo un certo accanimento. Tutti devono fare la propria parte. Ma se qualcuno pensa che solo i calciatori debbano farsi carico della crisi del sistema calcio, beh, allora siamo fuori strada”.                             

Niente pallone. Solo preparazione atletica individuale. Quanto serve realmente?
“Diciamo che aiuta a sentirsi ancora calciatori. E a farsi una sudata. Insomma, credo prevalga l’aspetto mentale rispetto a quello fisico. Io vivo in appartamento, non ho giardino e come tanti devo arrangiarmi sul terrazzino. Un po’ di forza muscolare, tabata (o Guerrilla Cardio, protocollo di training mutuato dal crossfit, ndr), tutto quanto ci è prescritto individualmente dal preparatore. Lo stretto necessario per avere una base minima se e quando si riprenderà. Sia chiaro però, il calcio è un’altra cosa”.

Come si preserva (forzatamente a distanza) lo spirito di spogliatoio?
“Abbiamo una chat di squadra. Ci sentiamo spesso. In questo periodo è difficile essere positivi. Con tanti morti ogni giorno e l’incertezza regnante sul futuro. Ci affidiamo agli esperti. E siamo tutti allineati sul fatto che non bisogna mollare. Fondamentale in questo momento”.

Tutto fa pensare che la stagione sia chiusa qui. Nel caso, come pensi si debba amministrare il risultato sportivo del campionato interrotto?
“Non vorrei essere nei panni di chi deve decidere. La situazione è molto complessa. Comunque si faccia, qualcuno si scontenta in ogni caso. Come si fa ad andare a dire al Monza che non è promosso? E come si gestiscono le retrocessioni? Troppo prematuro parlarne. Soprattutto perché non abbiano tutti gli elementi a disposizione”.     

Per andare oltre la crisi, Gravina ha avanzato l’ipotesi di una Lega Pro spacchettata tra una categoria èlite e un’altra semiprofessionistica. E’ la direzione giusta?
“Sarebbe utile sapere con quali parametri verrebbero selezionate le squadre. Penso ci possano essere idee diverse. Negli ultimi anni si stava compiendo un percorso corretto. Personalmente, sono favorevole a tutte le novità. A patto che migliorino realmente il sistema. Oggi è necessario dare una mano ai presidenti, alle proprietà. La C sta in piedi grazie ai loro sacrifici visto che i bilanci sono sempre in perdita. Bisogna tirare una riga. Questa emergenza può davvero diventare il punto zero della categoria”.

Di questi tempi l’anno passato (era il 13 aprile), la Pro Patria batteva 2-0 l’Entella certificando l’eccellenza della stagione da matricola. Si può dire che in questo campionato vi sia mancata qualche prestazione di quel livello?
“E’ stata una stagione completamente diversa. Siamo cambiati noi, soprattutto sono cambiate le altre squadre. Il Monza ha oscurato gli avversari. Tutti l’hanno affrontato con la consapevolezza della sua superiorità. Probabilmente in un altro girone avrebbe fatto più fatica. Questo ha condizionato il livello della competizione. Tante partite decise da episodi e con grandissimo equilibrio. Monza a parte, chiaramente. La nostra stagione resta molto positiva. Possiamo dire che in generale si è giocato un calcio meno spettacolare. Su questo non ci sono dubbi”.

Rispetto al campionato precedente, quasi lo stesso numero di gare da titolare (14 contro 15), sebbene con un terzo di stagione ancora da giocare. Il tuo bilancio personale?
“Fa piacere giocare dal 1’. Inutile nasconderlo. Ma il peso specifico del proprio apporto alla squadra può essere molto elevato anche partendo dalla panchina. Sono molto autocritico. Credo sia fondamentale non accontentarsi. In questi anni il livello di concorrenza interno al gruppo è sempre stato molto alto. Questo alimenta le motivazioni”.

Classe ’84, contratto in scadenza al 30 giugno, è venuto il momento di pensare al futuro?
“Ci pensavo prima. E ci penso a maggior ragione adesso. Mi chiedo spesso cosa vorrei fare e chi vorrei essere in futuro. Non è facile. Sono affascinato dalla possibilità di restare nel mondo del calcio. E’ dove sono cresciuto ed è il contesto in cui credo di avere più capacità. Ma non è ancora arrivato il momento. Ho ancora voglia di giocare. Ve lo posso garantire”.                 

Giovanni Castiglioni