Paolo Conti, prestigioso ex-giocatore e vice-coach in Pallacanestro Varese e, oggi, nientemeno che assistente allenatore di coach Meo Sacchetti in Nazionale, osserva tutto quello che sta succedendo intorno a lui con sguardo attonito. Lo sguardo di chi, come del resto tutti noi, ha visto la propria vita, le abitudini, alcune certezze e i momenti consolidati spazzati via, o quantomeno sconvolti, dal maledetto coronavirus.

Il varesino in questo momento vive con ovvia apprensione un momento difficile che riguarda sia il campionato di serie A sia la la spedizione azzurra che, in linea puramente teorica, dovrebbe iniziare a ragionare su un appuntamento importante come il torneo pre-olimpico che sancirà la qualificazione per Tokyo 2020.

Il gruppo azzurro ha fatto appena in tempo a partecipare alle qualificazioni per i prossimi Campionati Europei giocando un paio di partite – a Napoli contro la Russia e in Estonia -, proprio prima che l’Europa sportiva e quella “geografica” chiudessero le frontiere. “Le cose stanno esattamente così – conferma Paolino -. Durante il raduno precedente le due gare avevamo già avuto avvisaglie importanti circa la presenza del coronavirus in Italia. Tuttavia abbiamo fatto in tempo a giocare, e vincere, a Napoli contro la Russia e ad organizzare la trasferta, anch’essa vincente, contro l’Estonia mettendo in evidenza in entrambe le gare le buone prestazioni di Ricci, Michele Vitali, Spissu, il varesino Matteo Tambone e, in linea generale, la vitalità di un gruppo giovane, entusiasta, attaccato alla maglia e già ben affiatato. Però, nel viaggio di ritorno abbiamo percepito che la situazione si stava aggravando ora dopo ora. Allo scalo di Fiumicino abbiamo subito avvertito lo stato di strisciante “psicosi collettiva”. Siamo stati infatti accolti da personale sanitario che, bardato in divisa anti-contagio, ha misurato la temperatura e in tono giustamente allarmato ha chiesto notizie sulle nostre condizione di salute. Da lì in avanti, la diffusione del virus ha purtroppo avuto l’impennata tragica che tutti ben conosciamo”.

Una diffusione che si è messa di traverso sui programmi dell’intero sport tricolore: quali erano le scadenze della Nazionale di basket?
“Il nostro gruppo dovrebbe, o per meglio dire vorrebbe tanto, partecipare al prossimo torneo pre-olimpico di qualificazione in vista delle Olimpiadi di Tokyo 2020 in programma a Belgrado. Un appuntamento che, come tutti gli appuntamenti sportivi è stato rinviato a data da destinarsi anche perché, è notizia risaputa, le Olimpiadi stesse sono a fortissimo rischio. Insomma, in questo momento viviamo tutti alla giornata in attesa che la situazione sanitaria migliori e arrivino notizie più confortanti”.

Da ex-giocatore di serie A e cosa pensi del campionato ai tempi del coronavirus?
“Pensare alle partite e al campionato ora è difficile considerate le tali e tante complicazioni logistiche legate a calendari nazionali e impegni internazionali. Toccherà alla FIP, alla FIBA e al “bureau” dell’Eurolega il compito trovare la soluzione migliore e decidere. Pensare di giocare in tempi brevi mi sembra oggettivamente impossibile anche perché, dovendo dare retta agli ultimi report stilati dai responsabili sanitari, si è tutti in attesa di un picco che deve ancora arrivare. Personalmente, sono piuttosto pessimista e realisticamente credo che dovremo affrontare settimane, probabilmente mesi, di emergenza. In un contesto del genere la salute di tutta la popolazione rappresenta un aspetto assolutamente imprescindibile. Lo sport e la pallacanestro, seppur a malincuore, possono aspettare”.

Infine, in qualità di illustre addetto ai lavori, che suggerimenti ti senti di offrire?
“Da ex-giocatore, allenatore e soprattutto appassionato di pallacanestro, dico che se mai dovessimo riprendere a giocare dovrà essere in funzione del pubblico e della gente che ama visceralmente questo sport. In tanti anni di carriera sviluppata e giocata a diversi livelli ho imparato che la pallacanestro nelle “minors” appartiene ai giocatori, mentre a livello professionistico appartiene ed è fatta per il pubblico, per lo spettacolo, per i tifosi che la seguono con passione, interesse e amore sconfinato. Il basket in serie A è quindi “proprietà” del pubblico, della gente che paga il biglietto per vederla. Pensare di continuare la stagione a porte chiuse, solo per assegnare titoli sarebbe davvero ingiusto e meschino, ancorchè deprimente. Del resto le porte chiuse, lo abbiamo già notato in alcune gare di Eurolega, oltre che contraddizione in termini rappresentano uno spettacolo spettrale e ribadisco, lo sport professionistico è intimamente, strettamente collegato al vedere palazzi pieni di  gente, al sentire i tifosi che cantano, urlano, si abbracciano dalla gioia. Senza tutte queste immagini – conclude Conti -, il basket che senso ha?”.

Massimo Turconi