Serie C rivoluzionata con un girone èlite da 20 squadre e le restanti 40 destinate al limbo del semiprofessionismo. Di fatto, una specie di ritorno alle care vecchie C1 e C2. Spacchettamento utile a creare una sorta di camera di compensazione con la Serie D. Questo lo scenario proposto informalmente ieri da Gravina a Ghirelli che avrebbe risposto “Parliamone”. La riforma corre sul virus, insomma. Cioè, quello che in questi anni non ha potuto la politica sportiva, può la pandemia. I cui effetti saranno squassanti soprattutto per i club più piccoli. Con la provincia del calcio spazzata via dalla crisi post emergenza Covid-19.

Per ammortizzarla, la FIGC ha disposto per B e C lo slittamento al 30 giugno di tasse e contributi. Un provvedimento tampone che va a braccetto con il possibile congelamento salariale. Paradossalmente, invocato proprio da chi già non è al passo con il pagamento degli stipendi (non la Pro Patria che invece avrebbe già bonificato marzo). Perché deve essere chiaro che la maxi cassa integrazione proposta dai vertici federali per gli emolumenti sotto i 50 mila euro lordi, potrà coprire il durante e il post. Non certo sanare gli arretrati.

La domanda è però ovviamente un’altra. Riprenderà la Serie C? Probabilmente no. Almeno per la regular season. Per ragioni sanitarie, logistiche ed economiche. Oltre che banalmente di buon senso. Ma a differenza della Serie A, la C già prevede un format con playoff e playout. Che (nel caso) dovranno però essere condensati in singole sedi ed in tempi ristretti. Sempre che la possibile riforma di cui sopra non li renda superflui. O addirittura inutili.

Giovanni Castiglioni